L’uccisione di 17 milioni di visoni in Danimarca negli ultimi giorni ha riportato al centro dell’attenzione le condizioni di vita che questi animali patiscono all’interno degli allevamenti intensivi in cui vengono rinchiusi per la produzione di pellicce.

Ma non solo, il diffondersi di una mutazione del coronavirus dai visoni all’uomo ha lanciato un messaggio inequivocabile: anche il cuore dell’Europa può diventare il fulcro di una pandemia mondiale. Quando il coronavirus ha iniziato a diffondersi, in molti hanno puntato il dito contro i wet market cinesi e le abitudini alimentari di Paesi lontani, ma ciò che è accaduto negli ultimi giorni ci dà la misura di quanta poca differenza faccia la collocazione geografica nel caso degli allevamenti intensivi.

Questi luoghi sono tutti pericolosi e potenziali amplificatori di virus, che si trovino in Cina, in Danimarca o in Italia. Sono luoghi in cui ogni dettaglio è riproducibile e standardizzato: le specie di animali allevate sono le stesse, il corredo genetico che possiedono è lo stesso, come il mangime che consumano, e le condizioni di deprivazione in cui vivono. Quando una malattia colpisce un animale in un allevamento intensivo diventa complicato limitare il contagio, perché il virus può agire indisturbato senza incontrare diversità genetica capace di bloccarne la diffusione.

Non è infatti una sorpresa che il coronavirus sia mutato all’interno degli allevamenti di visoni. Un mutazione dettata dalla promiscuità tra migliaia di animali sommata alle caratteristiche intrinseche di questi, rendendoli di fatto vettori ideali per il virus. Focolai di coronavirus sono stati registrati in numerosi allevamenti di visoni negli Stati Uniti, ma anche in Spagna, Svezia, Olanda, Danimarca e Italia. E se inizialmente si pensava che la trasmissione potesse soltanto avvenire dall’uomo al visone, si è poi scoperto che anche i visoni stessi possono infettare l’essere umano. Ma questo non è bastato a far sì che nel nostro Paese si prendessero delle misure per contrastare l’emergenza.

Le immagini di migliaia di visoni ammucchiati senza vita hanno destato molta rabbia e sdegno e hanno fatto il giro del mondo. Eppure l’allevamento e la morte nelle camere a gas di milioni di questi mammiferi ogni anno è ancora del tutto legale e avviene anche nel nostro Paese. Anche se in molti hanno già detto no all’allevamento di animali da pelliccia, sono ancora troppi i Paesi che ammettono ancora l’esistenza di questa crudele pratica.

Dei segnali positivi sono però arrivati negli ultimi mesi: in Europa la pandemia di coronavirus ha velocizzato il processo di abolizione degli allevamenti intensivi di animali da pelliccia. Di recente il divieto è stato introdotto in Olanda (che l’ha anticipato di tre anni a partire da marzo 2021), la Francia ha detto no agli allevamenti di visoni (rimangono aperti però quelli di conigli da pelliccia), in Polonia è in discussione un disegno di legge che porterebbe al divieto definitivo di questa pratica e oltre all’introduzione di altre norme per la tutela degli animali.

E la Danimarca? Ora che l’intera popolazione di visoni del Paese verrà completamente abbattuta, anche il governo danese potrebbe considerare di mettere al bando questi allevamenti. Il prezzo che gli animali hanno dovuto pagare però è altissimo.

Questo argomento continuerà a tenere banco nel dibattito e Essere Animali continuerà a chiedere che anche l’Italia introduca un divieto definitivo. Gli allevamenti di visoni attivi nel nostro Paese sono una decina e il rischio che una mutazione del coronavirus avvenga anche da noi non è affatto inesistente. Oltretutto si tratta di un divieto che mette d’accordo l’86% degli italiani secondo un sondaggio Eurispes del 2016. Le pellicce, ma anche gli inserti in vero pelo, sono considerati crudeli, anacronistici e facilmente sostituibili con indumenti alternativi.

Unisciti a Essere Animali e chiedi anche tu al Parlamento e al Governo di vietare anche in Italia l’allevamento di animali da pelliccia. Firma la petizione per porre fine alle sofferenze dei visoni.

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