“Idrossiclorochina come il metodo Di Bella”: questo il titolo originale del post che inviai alla redazione blog de Il Fatto Quotidiano a marzo, dopo l’uscita dei primi dati. Dopo uno scambio di opinioni abbiamo deciso insieme che forse era una presa di posizione un po’ troppo prematura, anche se nella mia opinione di scienziato il paragone era già allora appropriato. Il titolo è importante, e l’etica giornalistica anche da parte di chi scrive un semplice blog impone di non usare parole “acchiappaclic” ma piuttosto di descrivere ai lettori in contenuto dell’articolo. Il cosiddetto metodo Di Bella è stato uno dei tanti esempi di terapie inutili e dannose che hanno avuto una forte eco mediatica anche grazie alla sponsorizzazione della politica, una cui parte è purtroppo magneticamente attratta dal consenso a breve termine.

Quali sono queste stringenti similitudini tra il caso del cosiddetto “metodo Di Bella” e la terapia con l’idrossiclorochina? Una malattia per la quale non c’è un protocollo farmaceutico di alta efficacia; un razionale traballante e incerto; l’utilizzo di farmaci già disponibili per altre patologie; un mix di dati pubblicati in cui quelli positivi e inaffidabili superano di gran lunga quelli negativi e affidabili; la ricerca di notorietà attraverso i mezzi d’informazione e politica; la richiesta di una contro-sperimentazione quando già esistono sperimentazioni solide con esito negativo; la ricerca del confronto con decisori politici, piuttosto che la ricerca del consenso della comunità scientifica e persone competenti.

L’idrossiclorochina, una sostanza di sintesi sviluppata come antimalarico e oggi usata come immunomodulatore per il trattamento dell’artrite reumatoide, è stata proposta come potenziale terapia contro la malattia da Covid-19. Per come conosciamo questa patologia, ci sono due approcci terapeutici: all’inizio della malattia tramite farmaci antivirali, che impediscono la moltiplicazione del virus, e in uno stadio più avanzato, per limitare il processo infiammatorio noto come “cascata di citochine”. Infatti, in attesa di terapie come vaccini e anticorpi monoclonali, attualmente si utilizza il farmaco antivirale Remdesivir che – seppur di poco – contribuisce a ridurre il tempo di permanenza di chi finisce in terapia intensiva, e un farmaco antiinfiammatorio steroideo come il Desametasone nelle fasi successive.

L’idrossiclorochina è stata suggerita come possibile cura fin da quando è apparso il Sars-CoV-2, e ci sono stati medici che da subito hanno trattato tutti i pazienti con questo farmaco. La malattia da Covid-19 è sostanzialmente benigna, perché la stragrande maggioranza (oltre il 99%) delle persone sopravvive e metà circa sono addirittura asintomatiche, cioè non presentano alcun sintomo. Tuttavia, la mortalità sale nelle persone anziane e con patologie pregresse. E anche se poche sul totale, pazienti anche giovani possono avere bisogno di cure ospedaliere e della terapia intensiva. Se tutte queste persone si presentassero insieme negli ospedali ci troveremmo di fronte a un picco di decessi.

Proprio perché la stragrande maggioranza dei pazienti affetti da Covid guarisce da sola, è paradossalmente molto complesso trovare un farmaco per trattare il Covid. Ci sono oramai centinaia di articoli scientifici sull’idrossiclorochina, tuttavia quando si seguono le evidenze e i dati scientifici scopriamo che non riduce la mortalità dei pazienti, se data presto o data tardi.
Inoltre, non può funzionare come antivirale se non invocando fenomeni solo teorici di accumulo, con esiti incerti.

Sulla base di queste ed altre informazioni, Aifa ha ritenuto di proibirne la prescrizione “off-label”, perché non ci sono evidenze che possa essere utile, e anzi, avendo una certa cardiotossicità potrebbe anche causare danni ai pazienti.


Qualcuno potrebbe dire: ma che cosa c’è da perdere nell’avviare comunque una sperimentazione domiciliare? In questo modo sapremo se funziona oppure no. Ci sono tante ragioni per sconsigliare questo, anche se non tutte appaiono subito evidenti.

Esistono tanti farmaci che potrebbero funzionare e che non sono ancora stati testati. Perché allora testarne proprio uno che ormai palesemente non funziona? La sperimentazione avrà necessariamente dei costi. Perché investire denaro pubblico in qualcosa che non serve ai cittadini? Le sperimentazioni basate sulle emozioni e le impressioni e non sui dati concreti, oltre ad essere destinate a fallire, invitano persone senza scrupoli a cercare notorietà speculando sulla salute dei cittadini, vedi caso della truffa Stamina.

Infine, dal coronavirus si esce con misure razionali. Alimentare il pensiero magico, soprattutto da parte di chi ha un ruolo pubblico e che rappresenta i cittadini, porta inevitabilmente a danni a lungo termine. Pensiamo ad esempio a cosa succederebbe a quei pazienti che anziché sperimentare gli anticorpi monoclonali, qualcosa che dai dati preliminari ha un’efficacia del 72-90%, ricevessero l’idrossiclorochina.

Non è affatto un caso che uno dei principali sponsor della cura con l’idrossiclorochina, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, una volta positivo al virus si sia ben guardato da usare questo farmaco ma piuttosto gli anticorpi monoclonali e il Remdesivir. Qui in Italia, l’idrossiclorochina è stata sponsorizzata dai senatori Salvini e Siri in una conferenza stampa al Senato, e il senatore Salvini ha dichiarato che la userebbe se positivo (non posso che augurarmi che non lo faccia davvero).

Come andrà a finire? Spero che Aifa resista alle pressioni mediatiche e che la questione idrossiclorochina sia finalmente archiviata. Sconfiggeremo il Covid, questo è poco ma sicuro, ma accadrà tanto prima quanto più agiremo con la razionalità e non sulla base solo di emozioni.

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