C’è un comportamento umano ricorrente nelle situazioni particolarmente emozionali, specialmente quelle che mettono a rischio un bene fondamentale come la salute: la spinta a voler credere fortemente ai benefici terapeutici di farmaci e presunte cure anche se le evidenze razionali sono scarse o nulle.

Il desiderio di provare “qualsiasi cosa” senza un’attenta valutazione, magari usando i pazienti come cavie, già in passato – quando sono state sponsorizzate sperimentazioni di soluzioni scambiate per miracolose – ha mostrato i suoi nefasti effetti: nessun beneficio per i cittadini e danni per le casse pubbliche.

L’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) scrive chiaramente sul suo sito che al momento non c’è alcun medicinale di riconosciuta efficacia per la malattia Covid-19. Ema (European Medicines Agency) sta valutando i dati su 20 farmaci e circa 40 vaccini (c’è la possibilità che un vaccino non sviluppato per il coronavirus potrebbe comunque dare una protezione anche parziale). Secondo alcuni organi di stampa, vecchi farmaci antimalarici però, come l’idrossiclorochina e la clorochina, avrebbero dato “risultati molto promettenti”.

Analizziamo insieme quali sarebbero i “risultati straordinari”, vedendo un trial eseguito in Cina con due gruppi di 15 pazienti positivi al nuovo coronavirus. Ci sono due modi per raccontare i risultati. Quello sensazionalistico è questo: il 93% dei pazienti trattati con l’idrossiclorochina e le nomali terapie di supporto, dopo 7 giorni era negativo. Una lettura che parte da dati reali ma finisce per essere quantomeno spregiudicata.

Vediamo allora qual è il modo razionale per raccontare la stessa storia. Il 93% dei pazienti guariti significa 14 su 15. La guarigione nell’altra metà dei pazienti, quelli che non hanno ricevuto l’idrossiclorochina ma solo le nomali terapie di supporto, è avvenuta in 13 casi su 15 (86%). Quindi, potremmo concludere che l’eventuale efficacia dell’idrossiclorochina è nel migliore dei casi del 7%, sperando che quell’unico paziente guarito in più non lo sia stato per un semplice caso.

La mortalità connessa al Covid-19, con tutte le incertezze del caso, è comunque bassa. Al momento, solo il 5% di tutti i casi confermati hanno una condizione seria o critica.

La difficoltà di valutare una terapia è paradossalmente dovuta proprio alla natura sostanzialmente benigna dell’infezione da coronavirus. Attenzione: non sto affatto dicendo che il Covid-19 sia una semplice influenza. L’aumento di mortalità nei comuni del bergamasco colpiti è impressionante e giustifica tutte le misure di questi giorni. È tuttavia una condizione dalla quale la stragrande maggioranza delle persone guarisce senza l’aiuto di farmaci, e quindi è difficile dire se questi abbiano effetto oppure no. Sarebbe più semplice valutare una cura per un ipotetico virus che uccidesse invece il 90% dei contagiati, perché un farmaco che abbassasse la mortalità al 10% potrebbe essere facilmente definito una “cura miracolosa”.

La popolarità dell’idrossiclorochina è dovuta al fatto che è stata sponsorizzata dall’inizio di febbraio da Didier Raoult, un eccentrico scienziato francese autore di un impressionante numero di pubblicazioni scientifiche. In Francia, Raoult è diventato una star, forse grazie ai suoi inconfondibili e lunghi capelli bianchi, con un gruppo Facebook in suo onore che ha raggiunto in poco tempo quasi mezzo milione di membri. Il presunto “miracolo della clorochina” è stato ripreso anche da Elon Musk, fondatore di Tesla, ma soprattutto da un tweet del presidente degli Usa Donald Trump.

Raoult prima ha ipotizzato un possibile meccanismo di azione per l’idrossiclorochina, e dopo ha eseguito un ristretto trial clinico i cui risultati sono, nel migliore dei casi, inconcludenti.

Nonostante l’assenza di dati scientifici che mostrino una concreta efficacia e lo scetticismo degli esperti, Trump ha deciso di iniziare comunque un trial clinico con 3.000 pazienti, affermando che tanto “non ci sarebbe nulla da perdere” e “io non sono uno scienziato ma ho buon senso”.

È bene ricordare che in vitro l’idrossiclorochina non inattiva il virus se non in concentrazioni talmente alte da sconsigliare qualsiasi uso farmaceutico; è stato ipotizzato (ma non dimostrato) un possibile accumulo proprio nei polmoni. Non c’è alcuna evidenza che possa agire da profilassi. In molti ospedali ai pazienti si sta somministrando l’idrossiclorochina, in associazione con un altro farmaco, l’azitromicina, un antibiotico normalmente utilizzato nelle polmoniti virali per evitare una sovrainfezione di tipo batterico.

E qualcuno ha pensato di associare anche la vitamina D, perché, a suo dire, buona parte dei pazienti colpiti dal Covid-19 ne avevano una carenza. Va precisato che nel periodo invernale quasi il 90% degli anziani (che sono guarda caso la categoria più colpita dal coronavirus, nonostante i giovani non siano immuni) hanno un livello non ottimale di vitamina D.

La febbre della clorochina ha fatto già almeno una vittima: una coppia dell’Arizona ha assunto una formulazione non farmaceutica utilizzata per disinfettare gli acquari. Conseguenze: il marito è morto e la neo vedova è finita in terapia intensiva. Anche in Francia le agenzie regolatorie hanno avvisato delle pericolosità del fa-da-te farmaceutico, dopo aver visto numerosi effetti collaterali.

Questo per ribadire che tutto quello che è inutile è spesso anche dannoso. L’idrossiclorochina è stata autorizzata sia dall’FDA americana che dall’Aifa (attenzione: è stata autorizzata la somministrazione, nessuno ha detto che funzioni o che sia raccomandata). Era un farmaco noto ed è stata esteso il suo possibile uso anche al Covid-19. Intanto, le persone che avevano bisogno per l’artrite reumatoide dell’idrossiclorochina hanno difficoltà a trovarla.

La storia dell’idrossiclorochina ricorda quella di Avigan, il farmaco presuntamente miracoloso divenuto famoso dopo il video di un ragazzo in vacanza in Giappone.

Ricordiamo che l’articolo scientifico che descriveva l’uso dell’Avigan è stato temporaneamente ritrattato e che in Giappone stanno aumentando notevolmente i casi di Covid-19.

Potrà davvero l’idrossiclorochina aiutare i pazienti almeno a stare meglio? Purtroppo, non è possibile rispondere a questa domanda senza dei trial clinici estesi, i cui risultati, spero positivi, mi auguro arrivino prima possibile. È ovvio che la mia forte speranza è di avere buone notizie, però alle persone va raccontata la verità. E, al momento, la verità è che le evidenze sono davvero scarse.

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