di Diego Battistessa*

Novembre è iniziato in Colombia con una manifestazione di protesta della Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune – Farc: il partito creato ad agosto 2017 e nel quale sono confluiti gli ex-combattenti delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc).

Dando seguito agli accordi di Pace siglati nel 2016 tra l’ex presidente colombiano Manuel Santos e il gruppo guerrigliero più longevo dell’America Latina, si ottiene la smobilitazione degli effettivi della Farc e l’ingresso nella sfera politica nazionale di alcuni loro rappresentanti. Un processo lento che doveva essere favorito da un clima di riconciliazione nazionale che però trova un brusco punto di arresto con l’arrivo alla presidenza del paese, nel 2018, dell’uribista Ivan Duque.

L’attuale presidente infatti vince le elezioni promettendo un’importante modifica degli accordi di pace, da lui indicati come troppo indulgenti con la guerriglia che per decenni aveva insanguinato la Colombia. Si inaugura così un periodo di forti tensioni politiche e sociali che si inaspriscono con il ritorno in armi del numero due del comando delle Farc, Ivan Marquez (ex Comandante del Blocco Caraibi) che ad oggi guida il gruppo di Dissidenti delle Farc-Ep “Segunda Marquetalia”.

Le migliaia di persone che domenica 1° novembre hanno riempito la centrale Piazza Bolivar a Bogotà rappresentano coloro che ancora credono nel processo di pace e che reclamano per le decine di omicidi perpetrati ai danni degli ex-combattenti delle Farc smobilitati. Bogotà è stata però solo il punto di arrivo di un lungo pellegrinaggio iniziato il 21 ottobre da Meseta (dipartimento del Meta), il luogo storico nel quale le Farc hanno consegnato le armi il 27 giugno 2017, cessando le operazioni di guerriglia.

In quella zona il 16 ottobre di quest’anno sono stati uccisi due ex guerriglieri che si sommano ad altri 234 assassinati dopo gli accordi di pace (un altro ex guerrigliero è stato ucciso il 24 ottobre mentre la carovana era in marcia verso Bogotà). Questa però è una storia già vissuta e che ha insanguinato gli spazi della politica colombiana negli anni ’80 con i fatti dell’Unione Patriottica.

Nel 1984, dopo la sigla del patto passato alla storia come “Los Acuerdos de La Uribe” tra l’allora presidente colombiano Belisario Betancourt e la Farc, iniziò quello che viene ricordato come un “genocidio politico”. Ivan Cepeda Castro, attuale senatore per il partito Polo Democratico Alternativo e figlio di uno dei dirigenti uccisi in quel piano di sterminio politico attuato da agenti statali e gruppi paramilitari (suo padre, l’avvocato e dirigente dell’Up Manuel Cepeda, fu ucciso nel 1993 nell’operazione “Colpo di Grazia”) ha prodotto un’analisi di quei fatti storici per la Corte Interamericana dei Diritti Umani – Cidh. Nel documento si legge che gli accordi siglati nel 1984 avrebbero sancito la nascita di un movimento politico (che prenderà poi appunto il nome di Unione Patriottica) che avrebbe permesso alla guerriglia di incorporarsi gradualmente alla vita “legale” del Paese. Le condizioni che avrebbero permesso questa transizione poggiavano sulla garanzia statale del rispetto dei diritti politici degli ex combattenti e sull’attuazione di riforme democratiche per il pieno esercizio delle libertà civili. La Storia ci racconta che le cose andarono diversamente. Si parla di 5000 vittime tra le file della Up: assassini, sparizioni forzate e torture i metodi utilizzati per il “genocidio politico”.

Con questo passato e con il continuo aumento degli assassini selettivi ai danni di ex guerriglieri delle Farc smobilitati, diventa facile comprendere lo sdegno, la rabbia e la protesta dei militanti di Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune. Il “Pellegrinaggio per la Vita e la Pace”, questo il nome dato alla lunga marcia arrivata il 1° novembre nella capitale, sancisce il ritorno ad una protesta dura a determinata di questo nuovo attore politico: protesta che si somma a quelle di diverse sigle sindacali, studenti e federazioni indigene che sono la cartina tornasole di un paese in forte disaccordo con le politiche attuate dal suo presidente.

La Colombia vive oggi uno dei momenti più critici della sua storia recente, un momento di grave recrudescenza della violenza che si manifesta in continui massacri legati al narcotraffico, scontri tra militari ed esponenti dell’Eln (l’altro gruppo guerrigliero ancora operante nel paese), dissidenti delle Farc, omicidi continui ai danni dei difensori della Terra e bande armate criminali che operano nelle grandi città.

Tutto questo aggravato della pandemia globale da Covid-19 e dalla pressione sociale esercitata da quasi due milioni di migranti venezuelani (che vivono in condizioni disperate) arrivati in Colombia per scappare dall’emergenza umanitaria in patria.

* Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni.
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