E quindi siamo ripiombati nell’incubo. Non alludo al lockdown, quello ormai era inevitabile come le scorte di lievito e il bat segnale in tivvù che avvisa di una nuova conferenza stampa del premier. Parlo di quello che sembra uno degli incubi ricorrenti degli insegnanti: la valutazione a distanza, dopo aver spiegato a distanza.

Non potendo più avere di fronte i nostri discipuli, non potendo privarli del cellulare, degli appunti, non potendo scrollarli come rami d’autunno per far uscire i bigliettini dalle maniche, privati della possibilità di interrogarli dal vivo, badando bene che non gettino nemmeno il più furtivo sguardo al libro di testo, dobbiamo valutarli a distanza con tutto il baraccone di polemiche del caso.

So di qualcuno che a settembre, in presenza, ha dato subito dodici voti, così è a posto per tutto l’anno; altri, mai rientrati a scuola fisicamente, è da settembre che combattono con alunni che dichiarano disturbi all’audio proprio durante l’interrogazione, immagini frizzate e laggate, temi degni del premio Pulitzer consegnati da studenti improvvisamente abilissimi con l’uso della penna. Francamente queste cose mi fanno un po’ sorridere, sarà che scrivo da una zona rossa e i problemi veri mi pare siano altri. Ma forse da adolescenti sono e devono essere problemi seri anche quelli legati alle interrogazioni.

In presenza è tutto meno imbarazzante, si viene alla cattedra, e i compagni scampati alla chiamata fanno in sottofondo quel garbato e distratto chiacchiericcio che mette a proprio agio. Sì, bisognerebbe che tutti fossero attenti alle interrogazioni altrui, ma la verità è che non c’è niente di peggio che essere timidi e parlare nel silenzio più assoluto, io un po’ solidarizzo con questi ragazzi che parlano davanti a uno schermo con la mamma che origlia dietro la porta. Che ansia da prestazione pazzesca.

Ho letto dell’alunna di un liceo di nonsopiù costretta a farsi interrogare bendata, perché l’insegnante fosse certa della sua genuina preparazione e ho immaginato cosa succederebbe nelle mie classi se chiedessi ai miei studenti di bendarsi. Intanto nel giro di tre secondi mi ritroverei con qualche emulo di Rambo, un imitatore di Axl Rose dei tempi d’oro, svariati pirati da Jack Sparrow a Capitan Harlock, tutti con la bandana sulla fronte o la benda su di un occhio solo. Darei subito un più sul registro a quelli che conoscono Capitan Harlock, così, per meritocrazia spicciola. Poi sono certa che le mie scaltre faine riuscirebbero a infilare nella benda abbastanza informazioni da snocciolarmi a memoria la Divina Commedia.

Ho uno studente che in genere usava la mascherina per coprirsi gli occhi, ma lo faceva serenamente in presenza, simulando saporiti pisolini, ed era un chiaro segnale che la lezione doveva farsi più interessante. Che poi, insomma, se qualcuno ti chiede di chiudere gli occhi e di bendarti, si spera che dopo succeda qualcosa di più divertente che non un’interrogazione di storia.

Io preferisco guardarli negli occhi, che mi mancano tanto. Ognuno conosce i suoi studenti, sa riconoscere una preparazione posticcia da una approfondita e personale. E poi, comunque, da che scuola è scuola, benda o non benda, ci sarà sempre qualcuno che tenterà di sbirciare un appunto, farsi suggerire una risposta, buttare l’occhio sugli schemi. E i ragazzi in questo non hanno bisogno di bende, ci riescono da sempre perfettamente, anche ad occhi chiusi.

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