La gaffe del presidente della Giunta regionale ligure, Giovanni Toti (leader di Cambiamo!, partitino filo-Salvini), sui “pazienti molto anziani” colpiti dal Covid-19, definiti “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”, ha scatenato raffiche di commenti sui social. I più imbufaliti sono coloro che si sentono inclusi nel recinto della “non produttività”. Lo sgradevole cinguettio su Twitter è stato attribuito dal presidente a un errore del suo social media manager (sarebbe quello che deve interpretare il suo pensiero, poverino…): sempre secondo Toti, come è noto avvezzo all’autocritica, non aveva capito una mazza del suo antecedente “concetto più ampio” e lo avrebbe “malamente estrapolato”.

Ovviamente la flotta dei media amici lo ha difeso, tanto che Libero – noto per il tatto con cui insulta chiunque non sia della sua parrocchia – ha attribuito al giornalista Guido Ruotolo una minaccia, definita “da brividi”, contro Toti: “Non ti sputo perché ti profumo” (l’autore dell’articolo ignora che è una battuta tratta dal film comico “Qualunquemente”, pronunciata da Antonio Albanese/Cetto La Qualunque).

A questo punto, però, non si tratta tanto di dare un’ulteriore profumata a Toti; nonostante le sue simpatie per capitan Papeete, non è ragionevole ritenere che stesse pensando davvero di difendere i confini nazionali pure dai “diversamente giovani”. Anche perché tra 8 anni (passano in un soffio, Giovanni…) pure lui rientrerà, come già capita al sottoscritto, tra gli over 60 che hanno diritto allo sconto in qualche supermercato. Inoltre il presidente ligure di mestiere fa il giornalista, quindi sicuramente non è incontinente sul fronte delle locuzioni da usare. Semmai è il caso di ragionare sul motivo per cui la sua affermazione, per quanto “malamente estrapolata”, abbia fatto così incavolare frotte di più o meno giovani.

Va detto che sicuramente i più anziani, sul fronte del virus, sono maggiormente a rischio, come dimostrano dati che non è il caso di elencare di nuovo qui. Quindi esortarli a uscire meno possibile in questo periodo di recrudescenza pandemica ha senso (ha senso anche per chiunque altro, a dire il vero). Un’altra questione, assai più delicata, è quella di immaginare di costringerli per legge a stare in casa, a partire da una determinata età: la più gettonata è quella dai 70 anni in su (sponsorizzata, oltre che da Toti, dai suoi colleghi – di centrodestra – in Piemonte e Lombardia).

Gli arresti domiciliari per gli over 70 come dovrebbero funzionare? Avranno una fascia fluorescente sul braccio? Tutti quelli che dimostrano più di 70 anni saranno fermati, a seconda del paradigma di over-settantenne che aleggia nell’immaginario di ogni poliziotto o vigile urbano? E quelli giovanili scamperanno alle retate? E i sessantenni che portano male gli anni? I vicini di casa under 70 potranno fare i delatori? Il presidente Mattarella sarà placcato dai corazzieri? E, soprattutto, chi porterà i viveri e il resto agli over 70 soli? Prevedo, se dovesse accadere, un boom di panciere e di tinte per capelli, in stile “Fantozzi va in pensione”.

Però non è solo questa prospettiva fantozziana a fare arrabbiare anziani e dintorni. Fa arrabbiare la seccante sensazione che una parte consistente della società italiana, politici inclusi, consideri i “diversamente giovani” intralci, vuoti a perdere, “improduttivi”, forse da sopportare ma “sacrificabili” (in senso più o meno metaforico) sull’altare dei sedicenti “produttivi”. Questa sensazione, al di là delle gaffe di Toti e di altri (ecumenicamente presenti ovunque), non viene affievolita da scuse più o meno sincere. Anzi, come scrisse nelle sue lettere San Girolamo (morto colpevolmente a 74 anni, intorno al 420): “Dum excusare credis, accusas (“Mentre credi di scusarti, ti accusi”).

La sensazione, tra gli italiani anziani o in dirittura di arrivo in questa categoria, è quella di sentirsi marchiati da uno sgradevole senso comune, liquidatorio e infastidito, che pervade la società. E questo accade nonostante i pensionati (finché resistono) siano uno dei pilastri fondamentali che tengono in piedi una società di “giovani” che, nel XXI secolo, non hanno risorse sufficienti per mantenere se stessi e le loro famiglie.

Su Facebook, tra i tanti, si è fatta portavoce di questo disagio la giornalista e scrittrice Lidia Ravera, che compirà 70 anni a febbraio 2021 ed è stata l’interprete, col libro Porci con le ali (1976, scritto insieme a Marco Lombardo Radice), del giovanilismo politicizzato degli anni Settanta.

A proposito dell’ipotesi di chiudere in casa gli over 70 ha scritto, tra l’altro: “Lo stupore, subito dopo un fatto traumatico, ritarda la percezione del dolore. Ma poi lo senti. Senti che dietro una proposta così rozza e balorda sonnecchia il disprezzo. La convinzione che il più forte ha più diritti, che chi non produce non conta, che chi non si ri-produce non conta. Sonnecchia il senso della superfluità di chi ha vissuto, di chi ha più vita dietro che davanti, ma non per questo gli è meno caro vivere. Si sente il fastidio verso una generazione che è stata, ed è tuttora, spesso, più ricca. Meno precaria. Non di rado risolutiva in situazioni di povertà di figli e nipoti”. Conclude: “Spero che il nostro governo, per la grande fiction intitolata Di Pi Ci EMME, trovi ispirazioni più sensate”. Mi associo.

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