Le persone con disabilità che frequentano i Centri diurni (Cdd) non hanno mai superato il lockdown e la situazione è ancora più critica in vista di eventuali nuove forme di quarantena. La chiusura delle strutture sarebbe molto grave in assenza di un’assistenza domiciliare che è mancata in moltissimi casi durante la fase più acuta della pandemia. Ci sono situazioni in cui i Cdd non sono stati neanche riaperti dopo la loro chiusura di marzo stabilita dal governo con il decreto Cura Italia. Ad esempio c’è il caso di un Cdd trasformato in centro Covid, con la conseguenza che i genitori sono stati costretti a ritirare i loro figli per paura dei contagi. “Da giugno il governo ha dato indicazioni alle Regioni di riaprire i Cdd ma la frequentazione è ripresa con estrema difficoltà, a macchia di leopardo, e ovunque sono state ridotte sia le ore di presenza sia la qualità dei servizi. Siamo molto insoddisfatti” protestano le associazioni. “La paura di una seconda quarantena è altissima, molti non sono in grado di affrontare altri mesi chiusi in casa con un figlio con gravi deficit cognitivi e comportamentali. Solo l’idea ci terrorizza” denunciano i genitori. Ilfattoquotidiano.it ha raccolto alcune testimonianze.

“Abbiamo chiesto a settembre un incontro con l’assessore alla Sanità e quello al Welfare per fare il punto della situazione e proporre soluzioni: nessuna risposta” – Benedetta Demartis è la presidente dell’Associazione nazionale genitori soggetti autistici (ANGSA), abita a Vercelli e tra i vari incarichi tiene anche i contatti con gli enti locali. Il suo timore è che verranno sospese le attività dei Cdd, dovendo trasferire totalmente l’assistenza complessa di persone fragili in mano alle famiglie con carichi di lavoro insostenibili. Conosce molto bene i tanti problemi che hanno vissuto sulla loro pelle i genitori di disabili gravi e si è mobilitata subito dopo l’estate per evitare ulteriori disagi. “A settembre abbiamo richiesto un incontro con Regione Piemonte sul tema gestione e organizzazione dei centri ma ancora tutto tace. Le istituzioni devono tenere in considerazione le differenze tra una Rsa e un Cdd perché i bisogni delle persone interessate sono diversi”, dice Demartis. La numero uno dell’ANGSA è a conoscenza di “situazioni delicatissime in cui diverse famiglie hanno dovuto affrontare da sole le conseguenze della chiusura dei centri o il ritardo nella loro riapertura perché mancavano ad esempio i test salivari da fare sui ragazzi, dato che per le persone autistiche risulta quasi impossibile fare il tampone”.

Non si è vista l’emergenza come ‘opportunità’ di reinventare i Cdd. Si doveva intervenire per personalizzare i servizi e ampliare la loro capacità di azione” – La Lombardia è la regione più colpita dalla pandemia e i centri hanno dimezzato le attività. “Non abbiamo ricevuto segnali da Regione Lombardia di chiusura. Bisogna ripensare a nuove modalità di gestione, scelte fatte finora solo da poche strutture all’avanguardia ma che dovrebbero essere incoraggiate e diffuse su tutto il territorio”, afferma Giovanni Merlo direttore della Lega per i diritti delle persone con disabilità (LEDHA). “Tuttora”, aggiunge, “vince la standardizzazione verso il basso. I Cdd non restino delle sedi assistenziali di servizi di base ma centri dove sono valorizzate competenze e incentivate le capacità dei fruitori, dobbiamo investire di più sulle relazioni tra le persone attraverso la personalizzazione degli interventi per offrire quello di cui ogni utente ha bisogno davvero”.

“La mia maggiore preoccupazione è ammalarmi di Covid e lasciare da solo mio figlio autistico in strutture non in grado di occuparsi di lui” – Suo figlio 33enne con autismo ha ripreso a frequentare il Cdd a giugno e solo da settembre anche a mangiare a pranzo all’interno della struttura. Durante il lockdown il ragazzo e la madre hanno vissuto un “periodo terrificante” e fatto “enormi sacrifici”. “A Ravenna dove abitiamo la situazione è sotto controllo, i servizi sociali hanno retto ma a livello regionale per affrontare la pandemia vanno approntati dei servizi specifici per persone con disabilità intellettive”. A dirlo è la presidente ANGSA dell’Emilia-Romagna Noemi Cornacchia. Il figlio frequenta un Cdd insieme ad altri dieci ragazzi, con turni diversi tra mattina e pomeriggio, con un’ora di sanificazione tra un turno e l’altro, alla presenza di due educatori per cinque utenti. “Come mamma sola e 70enne – aggiunge – vivo con preoccupazione l’eventualità di prendere il Covid perché non so cosa accadrebbe a mio figlio autistico in caso di isolamento. A livello regionale le risposte non sono state sempre tempestive e in altre province la riapertura dei Cdd è stata più diluita nel tempo, creando enormi problemi alle famiglie”. Salute fisica o equilibrio mentale? “Che cosa sia meglio è molto difficile a dirlo”, risponde, “ma mio figlio ascoltando i tg si sta angosciando per il peggioramento della situazione. Durante la quarantena ho riflettuto molto anche sul Dopo di noi: quando non ci sarò più io ad avere cura di mio figlio, chi se ne prenderà carico?” si domanda Noemi.

“Il centro dove andava mio figlio è stato trasformato dall’Asl in struttura Covid. Undici ragazzi sono costretti a casa da 6 mesi senza assistenza” Silvio De Michele, 30 anni, ha una tetraparesi spastica e vive su una sedia a rotelle. “Dal 3 marzo mio figlio è costretto a restare a casa perché il centro dove si recava è diventato in un primo momento una struttura Covid e poi non è stato reso più fruibile per l’utenza di riferimento” denuncia Maria Pellecchia al Fatto.it. Con lui a dover fare a meno di servizi essenziali per la loro qualità di vita, ci sono altre dieci persone gestite in regime diurno e da marzo isolate a domicilio. “Dopo una lettera di protesta all’Asl di Caserta scritta dalla FISH in data 8 settembre, viene spostato il punto Covid a Maddaloni, con la comunicazione che le famiglie sarebbero state richiamate per la ripresa delle attività” dice il presidente FISH Campania Daniele Romano. Ma i ragazzi non sono ritornati a frequentare la struttura. “Pensavamo finalmente di poter rientrare ma non c’è stato permesso perché i locali nel frattempo sono stati utilizzati come deposito e le attività fondamentali per i ragazzi cosi non possono riprendere. Ci hanno promesso di farci rientrare ma non è successo” afferma Maria. Il disagio per i genitori è altissimo e risulta un grave problema anche per i ragazzi coinvolti. “Siamo molto preoccupati per le loro eventuali reazioni, non viviamo serenamente e restano davanti alla tv tutto il giorno”. Le famiglie hanno mandato pure una diffida all’Asl di Caserta: “Stiamo vivendo da mesi una situazione umiliante, è qualcosa che ci spetta di diritto e c’è il rischio di creare situazioni pericolose. I nostri figli sono abbandonati da chi dovrebbe tutelarli”.

“Il centro diurno è un punto di riferimento per mia figlia: se lo chiudono nessuno potrà fornirci la giusta assistenza di qualità di cui ha bisogno”Lucia Viggiano è la madre di Francesca, 22enne con ritardo cognitivo, e sottolinea il rischio di un ritorno ad uno stato di “isolamento totale” già vissuto. “Il nostro lockdown è iniziato quando i nostri figli sono nati e ora la situazione è peggiorata, non sembra interessare a nessuno delle criticità che viviamo” denuncia. Abitano a Portici, città densamente abitata della provincia di Napoli, e frequenta lì un Cdd dove si recano oltre 100 persone. “Mia figlia ha ripreso da tempo ad andare al centro con le dovute cautele ma farle accettare l’uso della mascherina è stato traumatizzante, così come spiegare di rispettare il distanziamento è stato difficile perché cerca di continuo il contatto fisico per essere rassicurata e coccolata”, racconta Lucia. All’interno del centro i ragazzi fanno attività ludico ricreative e vari laboratori. In caso di chiusura? “I nostri timori non cambiano, il problema è non sapere quando finirà tutto questo e spiegarlo ai nostri figli. E’ davvero dura per loro essere obbligati a non frequentare il centro senza capire il perché, essere allontanati dal loro mondo, il posto dove incontrano gli amici e si trovano bene”.

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“Essere genitori è complicato, esserlo di un figlio gravemente disabile è quasi impossibile”. Il racconto di un padre

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