Quando ho terminato la lettura di Guerre interne di Joseph Zarate, mi sono detto “è un libro bellissimo”. Poi mi sono ricreduto e mi sono detto “è un libro terribile”. Infine sono giunto alla conclusione che è un libro bellissimo e nel contempo terribile.

Beninteso, tutti noi, pochi, che abbiamo una sensibilità ambientale che non sia semplicemente sindrome di Nimby sappiamo degli eccidi da parte degli invasori di nativi dell’Amazzonia, e/o dello snaturamento che hanno subito alcune, molte popolazioni indigene. Ma un conto è saperlo in generale, un altro è leggere di specifiche storie di nativi della Amazzonia che subiscono i crimini di coloro che si addentrano nelle viscere della foresta per appropriarsi delle loro ricchezze.

Tre storie, appunto, tre storie di indigeni – scrive Zarate – legate a tre diversi elementi naturali locali: il legno, l’oro, il petrolio. La storia di Edwin Chota, difensore della foresta amazzonica e quindi nemico delle compagnie che disboscano quasi sempre illegalmente il territorio; Maxima Acuna Atalaya che difende la sua proprietà dal progetto della compagnia Yanacocha che vuole impossessarsi dell’oro che giace sotto i suoi piedi (il Perù è il maggior esportatore di oro dell’America Latina e il sesto al mondo); Osman Cunachi, un bimbo che, come tanti altri del suo villaggio, è andato a raccogliere il petrolio fuoruscito dall’Oleodotto Nordperuviano nel 2016 ed è stato immortalato in una foto. Tre storie di indigeni peruviani. Siamo abituati a pensare al Brasile quando si parla di Amazzonia, ma in Perù la foresta copre ben il 60% del territorio e 782.880,55 kmq.

Tre eroi, inconsapevoli di esserlo, dei nostri tempi confusi, in cui il legno tropicale diventa materia prima per mobili di ricchi bianchi benestanti; per l’oro si uccide anche se, come ricorda Thomas More in Utopia, “All’oro e all’argento […] la natura non ha concesso alcuna utilità e solo la follia umana ha attribuito loro valore”; le perdite di un oleodotto consentono agli indigeni di diventare benestanti, ma anche, indirettamente, di diventare sieropositivi.

Zarate ci porta per mano in questo universo ma non formula giudizi di sorta. Anche se alla fine del saggio si ha la sensazione, o meglio la certezza di vivere in un mondo malato. Ed in cui noi stessi, lettori, siamo anche inconsapevoli assassini. “Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”.

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