Qingdao è una città poco conosciuta in Italia, se non per la birra che porta il suo nome e che si trova in qualsiasi ristorante cinese: la Tsingtao, appunto, cioè il nome della città secondo la vecchia trascrizione fonetica. Ma in queste ore è però teatro dell’ennesima mega operazione di contenimento di un possibile focolaio del virus, dopo che 12 persone sono state trovate positive al Covid-19 (numeri aggiornati al 12 ottobre): tutta la popolazione di 9 milioni di abitanti sarà sottoposta al tampone in cinque giorni. Come già successo nel mese di maggio a Wuhan – definita subito dopo “città più sicura al mondo” – o a giugno nei quartieri intorno al focolaio di Pechino, questi test di massa sono quelli che in gergo medico internazionale sono definiti “batch test”: test di gruppo diversi da quelli individuali che uno richiede magari per esigenze di lavoro o spostamento. Si mettono più campioni di più individui – facciamo dieci – in un’unica ampolla, se il contenuto risulta positivo si rifà il test individuale a ognuno, altrimenti via libera. Questo permette di velocizzare le procedure e fare il tampone a milioni di persone in poco tempo. A Pechino, oltre agli abitanti dei quartieri intorno al focolaio, furono testate così intere categorie professionali, quelle più a rischio. Tra loro i lavoratori della ristorazione, rider e impiegati pubblici.

La Cina ha trovato un suo metodo, una sua piattaforma, e il potere cinese adora costruire standard che restituiscano prevedibilità e sicurezza. Non sarebbe altrimenti possibile gestire i grandi numeri del paese.

Devono sentirsi così sicuri, a Pechino, che hanno consentito a circa mezzo miliardo di cinesi di andarsene in vacanza durante la “settimana d’oro”, cioè la festa nazionale che celebra la fondazione della Repubblica Popolare e che è cominciata il 1 ottobre. Era la prima grande prova del nove per la Cina post-Covid, sia dal punto di vista sanitario sia da quello economico. Il presidente Xi Jinping ha recentemente lanciato la parola d’ordine della “doppia circolazione” (shuang xunhuan), cioè una nuova dottrina economica che dovrebbe ispirare il prossimo piano quinquennale 2021-2025: di fronte alle turbolenze internazionali e all’aggravarsi delle tensioni con gli Usa, si punta a dare più enfasi alla “circolazione interna” rispetto all’export, cioè all’incremento della domanda domestica. Come osserva la rivista economica Caixin, sul medio-lungo periodo, “questo dovrebbe tradursi in promozione dell’urbanizzazione, continui investimenti nelle infrastrutture, misure a sostegno dell’occupazione nelle aziende più piccole e il miglioramento della rete di sicurezza sociale e, quindi, dei consumi”.

Sia inteso, non è che le esportazioni non contino più: secondo dati delle dogane cinesi, sono aumentate del 9,5 per cento ad agosto, superando le aspettative di un pool di economisti interpellati da Reuters e mantenendo a livelli record (58,9 miliardi di dollari) quel surplus commerciale che è il principale oggetto del contendere – o il principale pretesto – nella guerra commerciale con gli Usa.

Tuttavia, oggi la parola d’ordine è “consumi interni” ed evidentemente, da subito, le autorità hanno voluto verificare la propensione al consumo dei cinesi sguinzagliandoli per il paese nel corso della settimana di vacanza e lasciandoli ammassare nei principali luoghi turistici.

Ebbene, come si diceva, si sono spostati almeno in mezzo miliardo, dando un impulso alle attività legate al turismo, che hanno fatturato 466 miliardi di yuan (circa 60 miliardi di euro): un calo di circa il 30 per cento rispetto al 2019, ma un notevole miglioramento rispetto al -60 per cento durante le celebrazioni della festa del lavoro, lo scorso 1 maggio. Segno di fiducia che sta tornando.

I viaggi sembrano essere leggermente diminuiti rispetto all’anno scorso – meno venti per cento – ma parliamo comunque di numeri enormi: 637 milioni di biglietti staccati. I cinesi si sono mossi all’interno del paese per ovvie ragioni – entrare e uscire dalla Cina richiede oggi più tempo di quanto se ne abbia a disposizione per le vacanze – e l’aeroporto di Shanghai ha registrato quindi un più 17 per cento di voli interni rispetto all’anno scorso.

Un dato interessante, che si presta a diverse letture, è che solo il 29 per cento dei vacanzieri è uscito dalla propria provincia di origine. I cinesi hanno apparentemente preferito le gite fuori porta rispetto alle vacanze vere e proprie: eccesso di prudenza, carenza di liquidità nell’anno della pandemia o altro? Probabilmente, c’è soprattutto dietro la manina governativa. Le autorità hanno infatti imposto alcune restrizioni: la capacità delle principali mete turistiche è stata limitata al 75 per cento; diverse scuole primarie e secondarie hanno accorciato le vacanze di qualche giorno, inducendo le famiglie a non spostarsi troppo da casa; alcune università hanno richiesto agli studenti di ottenere un permesso per allontanarsi dal campus. Queste misure sono rese possibili dal fatto che in Cina chiunque è tracciabile, grazia ad apposite app che ognuno è tenuto a installare sul proprio telefonino e che sia le municipalità, sia le 3 telecom di Stato, sia le principali imprese IT sono ben felici di fornire, in un’efficacissima complementarietà stato-privato.

Ma se dalle nostre parti amiamo enfatizzare il ruolo del controllo elettronico alla Black Mirror, a molti sfugge che il vero elemento peculiare cinese è quel controllo diffuso alla base, sul territorio, messo in opera da un numero infinito di comitati: di quartiere, di condominio, di vicinato, di università, e così via. Strutture a cui i livelli superiori della burocrazia celeste delegano la gestione quotidiana e che facilitano – per esempio a Wuhan distribuivano cibo durante il lockdown – mentre al tempo stesso monitorano e controllano. Da noi, tutto ciò suona come “violazione della privacy”, in Cina l’ago della bilancia tende a spostarsi verso il lemma “sicurezza”.

Tutte le misure messe in atto durante la “settimana d’oro”, a prescindere dalla loro efficacia pratica, lanciano comunque un messaggio: “Andate, divertitevi e spendete, ma siate prudenti”. I cinesi colgono al volo, interpretano e poi decidono che fare. Sta di fatto che, senza questo messaggio, i numeri della festa nazionale avrebbero potuto essere ancora più alti e i ricchi per la salute pubblica maggiori. Sul piano sanitario ne sapremo di più tra una settimana o due: se non ci sarà un’impennata dei casi, vorrà dire che l’esperimento è riuscito.

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