Dopo quattro anni di battaglia, il Tar del Lazio annulla il decreto attuativo con cui il governo Renzi aveva dato attuazione all’articolo 35 dello Sblocca Italia, prevedendo così il potenziamento di 40 impianti di incenerimento già esistenti in Italia (su un totale di 42) e la costruzione, nel Centro-Sud, di altri otto inceneritori (poi diventati 12). Impianti considerati sì “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”, ma che l’allora esecutivo riteneva non dovessero essere soggetti a Valutazione Ambientale Strategica (Vas), se non in fase di progettazione dei singoli impianti. Il tutto in contraddizione con quanto disposto dalla direttiva 2001/42/CE. La sentenza è stata pronunciata nell’ambito del ricorso presentato nel 2016 da alcune associazioni ambientaliste, come il Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare, Verdi Ambiente e Società – Aps Onlus, VAS – Aps Onlus, Rifiuti Zero Sicilia, Mamme per Salute e l’Ambiente Onlus e il comitato Donne 29 Agosto, queste ultime difese dall’avvocata Carmela Auriemma, consigliera comunale del Movimento 5 stelle di Acerra (Napoli), dove si prevedeva il potenziamento di uno degli inceneritori più grandi d’Europa. Ed ora che il tema è quantomai attuale, dopo il recente recepimento di tre direttive europee del pacchetto Economia Circolare, si pone il problema della riscrittura dell’articolo 35 dello Sblocca Italia (Legge 164/2014).

NO A DUE MILIONI DI TONNELLATE DI RIFIUTI IN PIÙ – “È una sentenza storica perché il provvedimento annullato avrà effetti a cascata su tutti i comitati e le associazioni d’Italia che in questi anni si sono trovati a combattere contro la realizzazione di inceneritori o il potenziamento di quelli esistenti” spiega a ilfattoquotidiano.it la consigliera comunale grillina Carmela Auriemma, ricordando che “complessivamente si sarebbe trattato di incenerire due milioni di tonnellate di rifiuti in più”. In particolare, il primo comma affidava a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Ambiente, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, l’individuazione della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio, ovvero autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto. Emblematico il caso della Sicilia, dove si prevedevano due termovalorizzatori e dove nel 2019 il Piano del Governo regionale è stato bocciato dal ministero dell’Ambiente proprio perché non li contemplava. Emblematico, perché Costa fu costretto a ribadire la sua linea: “Mai e poi mai da questo ministero ci sarà un via libera a nuovi inceneritori”.

L’ANNULLAMENTO PER MANCATA PREVISIONE DELLA VAS – Nel 2018 i giudici amministrativi avevano rinviato il testo dello Sblocca Italia oggetto del ricorso alla Corte di giustizia Ue per una valutazione sulla conformità alle norme comunitarie, tant’è che nella sua sentenza, il Tar del Lazio ha ribadito proprio quanto sostenuto dalla Corte Ue nella sua pronuncia, arrivata l’8 maggio 2019. Si è ritenuto sì, quindi, che il decreto impugnato e la conseguente eventuale realizzazione degli inceneritori non contraddicesse il principio secondo cui lo smaltimento dovrebbe essere l’ultima scelta da compiere (dopo prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia). Questo perché la Direttiva rifiuti del 2008 lascia agli Stati un margine di discrezionalità, non obbligandoli ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione, ma per quella che dà “il miglior risultato ambientale complessivo” e, comunque, “senza danneggiare la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente, in particolare senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora o la fauna”. Ma, allo stesso tempo (ed è questo il punto su cui il decreto è stato annullato, ndr) i giudici hanno ritenuto che una norma come quella oggetto del ricorso, che “determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura” rientra nella nozione di ‘piani e programmi’, come previsto da un’altra direttiva, la 2001/42/CE “qualora possa avere effetti significativi sull’ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva”. La stessa direttiva, spiegano poi i giudici, non ha il solo scopo di contribuire alla tutela dell’ambiente, ma anche di “consentire la partecipazione del pubblico all’iter decisionale”.

LE REAZIONI – Una sentenza che va nella stessa direzione di quella pronunciata a maggio 2017 dal Tar del Molise, prima non solo dei colleghi del Lazio, ma anche della stessa sentenza della Corte Ue. “In quel caso – spiega l’avvocatessa Auriemma – i giudici hanno respinto il ricorso presentato da Herambiente (la società che gestisce l’inceneritore di Pozzilli, nella piana di Venafro, ndr) contro l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) perché ritenuta troppo restrittiva. Con questa seconda sentenza, riceviamo una ulteriore conferma”. “Nonostante resti confermato un margine di discrezionalità al governo sulla qualificazione degli inceneritori come ‘infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale’ – ha commentato Massimo Piras, presidente del Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare – è stato ribadito anche che la stessa qualificazione deve ‘garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente”. Il movimento conta ora che “il ministro dell’ambiente ed il governo tutto dia un segnale chiaro azzerando e riscrivendo daccapo la formulazione dell’articolo 35 . “Lo Sblocca Italia è oramai da considerarsi illegittimo sia per l’azione popolare che ha fermato la sua attuazione che per il recentissimo recepimento della Direttiva europea 851/2008 che esclude il ‘recupero di energia’ dai nuovi obiettivi di riciclaggio del programma di economia circolare”. ha ricordato Piras. “L’incenerimento distrugge materia per recuperare una bassa quantità di energia, pagata salatissima tuttora dagli incentivi pubblici del GSE a fondo perduto”.

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