di Paolo Di Falco e Marta De Vivo

Il 3 ottobre è stata la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, istituita per ricordare tutti coloro che pieni di speranza hanno cercato di raggiungere l’Italia e l’Europa ma nel mare hanno trovato la morte.

Tanti i naufragi a cui durante questi anni, tra l’indifferenza e la pietà, abbiamo assistito: forse uno dei più terribili e dolorosi è stato quello del 3 ottobre del 2013 quando a largo di Lampedusa persero la vita ben 368 migranti, persone di cui purtroppo non ricorderemo né i volti, né i nomi ma solo le bare disposte “nell’hangar della morte” di Lampedusa. Delle immagini che, nonostante sia passato molto tempo, continuano a provocare dolore.

Mentre in tutti questi anni in Italia si faceva propaganda contro l’accoglienza, dal 2013 si calcola che oltre 20.000 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo. Mentre nella nostra Italia continuiamo a vedere e a sentire slogan contro i migranti ritenuti tutti “delinquenti”, contro povere persone in cerca di un futuro migliore con l’unica colpa di “venire per rubare il lavoro agli italiani”, non ci accorgiamo che troppi di loro finiscono in fondo al mar Mediterraneo dove forse trovano la pace che non gli è stata data in vita.

Se da una parte c’è chi fa propaganda sulla pelle dei migranti, dall’altra invece c’è chi si pone a loro difesa, ma solo a parole, in quanto nel concreto non fa nulla per cambiare le carte in tavola: infatti il governo ha rinnovato gli accordi libici, che come abbiamo già denunciato non sono altro che soldi consegnati a stupratori e torturatori che rinchiudono i migranti nei lager.

Oppure ferma le navi delle Ong che cercano di soccorrere in mare i migranti, esattamente come faceva qualche anno fa qualcun altro che non hanno in simpatia. All’apice di questa ipocrisia vi sono i decreti sicurezza che, nonostante il cambio di colore della maggioranza e nonostante i vari proclami, per molto tempo sono restati lì senza subire alcun cambiamento; dopo una mediazione durata ben 14 mesi, finalmente il nostro pupillo Giuseppe Conte si è svegliato dal suo lungo sonno e siamo giunti a una modifica.

Infatti è stata ripristinata in buona parte la protezione umanitaria per i migranti e anche il sistema di accoglienza che include i richiedenti asilo; inoltre i migranti hanno il diritto di iscriversi all’anagrafe e di ricevere un documento d’identità valido per tre anni. È anche prevista per le persone che sono detenute nei Cpr la possibilità di rivolgersi al garante nazionale o regionale per le persone private della libertà personale.

Nonostante tutte queste modifiche, rimangono invariati alcuni punti; tra questi, rimane in piedi l’impianto criminalizzante delle operazioni di ricerca e soccorso in mare, e l’inasprimento delle pene per il reato di rissa e ampliamento del Daspo urbano senza però investire sulla promozione dei valori del rispetto e della non discriminazione; e permane anche la penalizzazione dell’ingresso irregolare.

La parte che personalmente riteniamo davvero necessaria dei decreti sicurezza è l’articolo 1: “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”. Questo articolo introduce il principio di non rimpatrio o respingimento in quegli stati ove non vigono i diritti umani e la cura della persona.

La riteniamo una questione di “umanità” non rispedire i migranti in luoghi poco sicuri e crediamo che questo articolo dia finalmente dignità e il rispetto meritato a quelle persone che non hanno nulla di diverso da noi se non la sfortuna di essere nate in paesi non democratici e accoglienti come il nostro.

Come diceva Don Andrea Gallo: “Io vedo che, quando allargo le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri.” E così dobbiamo fare anche noi oggi, prendendo spunto dalle sue parole: dobbiamo costruire dei ponti, abbattere i muri, ora più che mai.

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