Il verdetto è senza appello: vince il SÌ. In un mio scritto prima del voto, avevo pronosticato la vittoria col 70%, immaginando una piccola ripresa del “No” per i nomi altisonanti che via via si andavano aggregando contro il governo o altri interessi non dicibili, trincerandosi dietro il referendum. Così facendo hanno svilito la Costituzione che a parole dicevano di volere difendere. Alcuni o tanti del “No” sono arrivati perfino a fare una propaganda a livello di “Tavernello” con cartelli e slogan di bassissima lega.

La Costituzione è stata rispettata, il metodo dell’art. 138 seguito alla lettera e “quelli del No”, dovrebbero avere l’umiltà di ammettere di essere loro i denigratori di quel Parlamento che per ben quattro volte ha votato la riduzione di se stesso. Demagogo il Parlamento? Tutti populisti? Tutti apprendisti stregoni? Si consolino: la spallata al governo non ci sarà e i fondi europei li spenderà chi ha gestito la pandemia, con qualche errore, certo, ma sicuramente senza malafede o secondi fini.

Un fatto emerge evidente: quelli del “No” hanno perso il contatto con la realtà, ma si sono fatti una loro realtà fantastica; il popolo ha capito che chi aveva votato “No” a Renzi che stravolgeva 54 articoli della Carta, non poteva votare “No” a questa riforma da cesello, puntuale e rispettosa della Carta. Chi ha votato “No” al massacro renziano/boschivo nel 2016, è stato coerente votando “Sì” ora.

L’errore del “No” è di avere attribuito al referendum compiti e funzioni propri della legge ordinaria, della legge elettorale e della responsabilità dei politici che devono scegliere i migliori a rappresentare la Nazione e svolgere il loro compito con “disciplina e onore”. Ora, sarà obbligatorio disegnare i collegi “prima” della legge elettorale e quindi scegliere un metodo di voto che sia rappresentativo. Nel frattempo, occorre porre mano ai regolamenti parlamentari che in forza dell’”autodichìa” (sovranità di autogestione interna), è compito esclusivo del Parlamento e delle presidenze di Camera e Senato. Potevano farlo prima? No, perché se avesse vinto il No, sarebbe stato tempo perso; né era scontato che vincesse il Sì (anche se lo si sapeva).

A urne chiuse con una vittoria del “SÌ” più schiacciante di quella del 2016, la quasi totalità di “Quelli che il NO” si è data al bizantinismo: spaccare il capello non in quattro, ma in sedicesimo e poi, muniti di guantoni da pugile, assemblare i peli tranciati in mazzetti da 13 come mazzo regalo. In tutte le trasmissioni tv un profluvio di commenti, di distinguo, di “sì, ma…”, il 30% del No è un ottimo risultato, mia nonna fumava il sigaro nella pipa a micro onde.

Perché non se ne sono stati a casa, in silenzio a riflettere sui loro errori e a scrollarsi di dosso le compagnie spurie di pregiudicati, piduisti, indagati? Qualche buon tempone ha osato dire: “Il 36,5% dei parlamentari tagliati non si sa quali siano, si sorteggiano? È vero che il 30% dei parlamentari è assenteista cronico, ma siamo sicuri che il referendum tagli proprio quelli?”. Un ragionamento del genere da parte di persone acculturaticce dimostra una ignoranza abissale. La legge va in vigore con la prossima tornata elettorale e la qualità delle persone dipende dai partiti e dalla legge ordinaria che dovrebbe porre le condizioni per accedere alla candidatura.

Per quanto riguarda la Liguria, Ferruccio Sansa ha avuto un successo personale, ma insufficiente perché la coalizione, nonostante qualche voto disgiunto, ha preso una batosta solenne, eppure ce la si poteva fare, se solo… come si evidenziò all’inizio, la candidatura di Sansa non fosse stata accettata da Pd e 5S all’ultimo momento e dopo un’estenuante trattativa. La gente ha capito che la candidatura non fu scelta, ma sopportata, a malincuore. Nessuno dei big ha fatto campagna per Sansa che ha brillato per generosa solitudine. Le sardine, ormai appiattite sul vacuo borghesuccio, specialmente dopo la scelta del “No” con argomentazioni da asilo infantile, si sono eclissate, il Pd e i 5S insieme come l’olio con l’aceto e il popolo ha punito chi non è sincero.

Ferruccio poteva farcela, ma bisognava che Pd e 5S, “carissimi-due-dita-negli-occhi”, volessero vincere e non mercanteggiare col coltello tra i denti. Ancora una volta, Giovanni Toti, il nulla contornato dal vuoto spinto, ringrazia non la sua capacità inesistente, ma gli avversari che oltre al ponte gli hanno regalato l’elicottero perché non si stancasse eccessivamente. Genova non meritava e non merita una simile sorte.

Il candidato di Renzi/Paita inchiodato al 3,6 che è il de profundis della scalata dal basso dell’intelletto di Rignano (a proposito, in Puglia lo Scalfarotto suo ha superato a malapena l’1%.). Se mantenesse le promesse fatte nel referendum del 2016 di andarsene dalla politica, farebbe un bel regalo alla Nazione.

Ora speriamo che i soldi dell’Europa non tocchino la mangiatoia condivisa, cui mirava molta parte del No, ma siano spesi come farebbe un buon padre di famiglia, secondo i bisogni e le priorità. Una bella giornata, oggi, 21 settembre 2020, festa di San Matteo… quando si dice che i santi, se sono sobri, qualche volta c’azzeccano.

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