Una svolta epocale per il calcio italiano o la solita decisione interlocutoria per non cambiare nulla? Lo dirà il tempo, le prossime settimane, forse addirittura i prossimi campionati. Per il momento per i tifosi è solo l’ennesimo annuncio roboante di un’operazione di finanza sportiva difficile da capire: la Serie A diventerà una media company, cioè una società che gestirà in proprio i diritti tv e potrà essere venduta a un fondo d’investimento straniero. A chi ancora non si sa, al miglior offerente. Anche se quello approvato al momento assomiglia più a un atto di indirizzo che a un contratto vero: il piano è cedere un pezzetto di Serie A in cambio di tanti soldi, circa 1,5 miliardi di euro. Per rilanciare il nostro campionato o metterseli in tasca e salvare i conti disastrati dei club, questo farà davvero la differenza.

Quello della media company è un piano che si discute da mesi, fortemente voluto dal presidente Paolo Dal Pino. Il famoso canale della Lega si è arenato, il bando per il prossimo triennio è più incerto che mai, con le difficoltà di Dazn e le tensioni con Sky (che comunque non sarebbe più disposta a fare follie per il pallone). Non ci sono garanzie su come incassare il miliardo vitale per i club, così la Confindustria del pallone ha cominciato a cercare un’alternativa. I fondi di investimento, appunto.

Lo schema prevede la costituzione di una nuova società, in cui far confluire tutti i diritti televisivi per i prossimi dieci anni. La Lega calcio, che non poteva vendere se stessa, potrà invece cedere una quota minoritaria di questa newco (che si occuperebbe di tutta la parte commerciale e economica del campionato, mentre quella sportiva resterebbe in capo alla Lega): così entrerebbero capitali e anche dei terzi nella gestione. Sul tavolo restano due proposte, leggermente diverse fra loro, sempre per il 10% della società: la cordata Cvc-Advent-Fsi offre 1,625 miliardi, Bain-Nb Renaissance 1,35 miliardi ma con alcuni bonus e soprattutto un minimo garantito per la vendita dei diritti tv nel prossimo triennio.

Nelle scorse settimane il calcio italiano era apparso profondamente spaccato. L’idea del presidente Dal Pino (sostenuta anche dall’amministratore delegato Luigi De Siervo) piaceva ai grandi club, in particolare alla Juventus, alle milanesi, a Cairo, mentre incontrava l’opposizione di Claudio Lotito, che di perdere il controllo sulla Lega proprio non ne vuole sapere. Il voto all’unanimità potrebbe sembrare il segno della svolta, ma in realtà la delibera approvata prevede solo di “proseguire le attività necessarie alla creazione di una media company” e di “individuare un partner di private equity”. La società si farà ma non è ancora stata fatta, ed è in questo cavillo che confidano gli oppositori che non si sono ancora arresi (Lotito non si arrende quasi mai). Sono stati anche tolti i poteri al presidente di negoziare da solo i termini, a dimostrazione che la partita non è chiusa.

Il vero tema, comunque, resta come gestire eventualmente questo fiume di denaro che arriverà nelle casse della Lega. In una logica virtuosa, i soldi dovrebbero servire a migliorare il calcio italiano: essere vincolati a progetti sani, come stadi e strutture giovanili, dilazionati nel tempo, e poi finanziare il famoso canale della Lega (o comunque la valorizzazione dei diritti tv). È l’idea anche del presidente Dal Pino, invece il rischio concreto è che quasi tutta la torta finisca nelle casse dei club, che non hanno mai brillato per lungimiranza. Un tesoretto una tantum, per dare una boccata d’ossigeno ai conti traballanti che con il Covid rischiano di saltare definitivamente. È per questo che tanti presidenti si sono convinti a dire sì. Ma con quale legittimità soldi che appartengono alla Serie A potrebbero essere distribuiti alle squadre che oggi ne fanno parte, tagliando fuori chi è appena retrocesso o magari sarà promosso in futuro? In Serie A negli ultimi 10 anni si sono alternate 37 squadre diverse. Infatti il Monza di Adriano Galliani, che conta di arrivarci il prima possibile, è già sul piede di guerra. La Lega spiega che la questione è stata esaminata dal punto di vista legale e marcia spedita verso il futuro del calcio italiano. Anche se il prezzo da pagare sarà piuttosto alto: trasformare il nostro campionato in un prodotto finanziario.

Twitter: @lVendemiale

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