Tempi duri in casa Mediaset. Da un lato il gruppo di Cologno Monzese accusa il colpo del Covid-19, dall’altro il socio francese Vivendi incalza. Ma il peggio è che al momento non c’è un piano alternativo a Media For Europe (MFE), il progetto del Biscione che prevedeva di accorpare tutti gli asset televisivi in un’unica holding di diritto olandese, ma che è stato stoppato dai ricorsi di Vivendi. “Confermo che non vediamo nessun’altra strategia se non un consolidamento europeo”, ha spiegato il direttore finanziario di Mediaset, Marco Giordani, nella conference call con gli analisti sui risultati del primo semestre 2020.

Il manager ha poi spiegato che Mediaset spera di “trovare una soluzione, lavorando come sempre nell’interesse di tutti gli azionisti”. Per quanto riguarda MFE, Giordani ha precisato che il gruppo ha dimostrato l’esistenza di “un disegno razionale dal punto di vista industriale”. Detto questo, “se ci saranno altre opportunità, siamo pronti ad ascoltare altri modelli di business”, ha concluso il manager lasciando la porta aperta non solo alla possibilità che Mediaset possa entrare nel capitale della nuova società della rete unica, ma anche alla prospettiva di un’intesa con Vivendi o con altri partner industriali. Secondo indiscrezioni, le trattative fra l’amministratore delegato di Mediaset, Piersilvio Berlusconi, e il numero uno di Vivendi, Arnauld de Puyfontaine, sono già ripartite. Si tratta però solo di un primo passo in un negoziato difficile visto che i due gruppi sono in guerra dopo il dietrofront di Vivendi sull’acquisto della pay tv del Biscione, Premium.

Trovare la quadra non sarà affatto facile visto che Fininvest e Mediaset pretendono un risarcimento da circa 3 miliardi proprio per l’acquisto poi sfumato della tv a pagamento di Cologno Monzese. Dal canto suo, Vivendi, socio sia di Telecom che di Mediaset, si trova ora in una posizione di forza legata a doppio filo con la volontà dell’esecutivo di realizzare una rete telefonica nazionale unica di ultima generazione attraverso le nozze fra l’ex monopolista e la rivale Open Fiber, controllata da Cassa Depositi e Prestiti e dall’Enel.

Intanto il Covid-19 ha fatto sentire i suoi pesanti effetti su Mediaset: il Biscione ha chiuso il primo semestre 2020 con 18,9 milioni di perdite rispetto a 102,7 milioni di utili dello stesso periodo 2019. Si sono assottigliati anche i ricavi netti scesi a 1,166 miliardi contro quasi 1,5 miliardi di un anno prima. In forte contrazione soprattutto il giro d’affari italiano passato da un miliardo del primo semestre 2019 a 791,3 milioni. In flessione anche i ricavi in Spagna (da 482,5 a 375,1 milioni). “Dopo i primi due mesi di esercizio caratterizzati da un andamento nettamente positivo, i mesi successivi hanno accusato il forte rallentamento della raccolta pubblicitaria sia in Italia che in Spagna a seguito delle misure restrittive di lockdown, misure progressivamente allentate solo a partire dalla seconda parte del mese di maggio in Italia e dal 21 giugno in Spagna”, ha spiegato una nota del gruppo che ha ridotto l’indebitamento ( da 1,35 miliardi a 1,19) e ha registrato un cash flow positivo per 212 milioni.

“Qualora nelle prossime settimane le condizioni dell’emergenza sanitaria non richiedessero ulteriori misure restrittive e si verificasse l’atteso consolidamento della situazione economica generale, i risultati economici del Gruppo nel secondo semestre dovrebbero gradualmente migliorare rispetto a quelli dei primi sei mesi dell’esercizio”, ha concluso la nota del gruppo che fa capo alla famiglia Berlusconi. Ma è un dato di fatto che l’intero mondo della televisione è fortemente preoccupato per il futuro. Se infatti l’audience ha tenuto, secondo dati Nielsen, la raccolta pubblicitaria è complessivamente crollata del 22,3 per cento. La pesante flessione è legata non solo ai minori investimenti da parte degli inserzionisti, ma anche allo spostamento di parte della pubblicità sulla rete a vantaggio degli Over the top come Facebook e Google.

Non a caso Confindustria televisioni ha previsto sul 2020 una flessione della raccolta fra l’11 e il 14 per cento evidenziando la necessità di un cambio di passo regolatorio che tenga conto anche della presenza sul mercato dei nuovi rivali della rete. Un cambiamento che, vista anche la sentenza della Corte del Lussemburgo sul caso Vivendi-Agcom, dovrà passare con ogni probabilità per la revisione del Testo unico delle telecomunicazioni, oltre che della legge Gasparri che ha bloccato i francesi sull’uscio delle assemblee Mediaset in base a un provvedimento Agcom. Inoltre nei prossimi mesi il settore dovrà anche fare i conti con il passaggio della banda 700Mhz dalle emittenti televisive agli operatori di telefonia per lo sviluppo del 5G. Passaggio, anche questo, che non sarà indolore né per i gruppi media né tanto meno per i consumatori.

È in questo contesto che Mediaset, in passato più volte promessa sposa di Telecom, si è proposta come potenziale socio della rete unica a banda ultralarga che dovrebbe nascere attorno alla controllata dell’ex monopolista telefonico, FiberCop. Ma l’impressione è che il progetto, nel quale vorrebbe entrare anche la Rai attraverso la controllata Rai Way, non sia affatto in discesa. Innanzitutto sarà necessario trovare un’intesa con l’Enel per la valorizzazione di Open Fiber. Per non tacere il fatto che Telecom vorrebbe mantenere il 51% della futura società della rete, mentre buona parte del Movimento 5 stelle insiste sulla necessità di un network di nuova generazione da sviluppare sotto il controllo pubblico come suggerisce anche Bruxelles.

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