Quando sai che stai per diventare padre sogni di condividere le tue passioni con il figlio che arriverà; ho amici che all’esito del test di gravidanza avevano già comprato l’abbonamento allo stadio e la sciarpa da ultras per il nascituro, altri che apparecchiavano il tavolo verde per il più lungo torneo di bridge padri-figli della storia italiana e altri ancora che volevano a tutti i costi una carrozzina rosso Maranello.

Eppure, il più delle volte, quando tuo figlio arriva davvero al mondo sviluppa passioni sue, che raramente coincidono con quelle dei genitori. Io, lo ammetto, sono un pesce strano. Nato in riva al mare, quasi detesto sabbia e scogli, mente mi sento pienamente a casa in mezzo alle montagne e ai boschi, soprattutto quelli del Trentino-Alto Adige e, in particolare, di un piccolo meraviglioso paesino della Rotaliana che si chiama Fai della Paganella. Abbiamo cominciato ad andarci quasi per caso quando Marco non aveva ancora quattro anni e Giovanni dormiva sereno nel pancione e da allora… non abbiamo più smesso, in estate come in inverno.

Quando siamo in città i gusti miei e dei miei figli raramente si incontrano (pizza a parte, che a casa nostra è quasi una religione, ma questa è un’altra storia!), mentre se siamo in Paganella sembriamo un sol uomo, soprattutto se si tratta di camminare in mezzo ai boschi. E nei boschi ci siamo costruiti un sacco di ricordi meravigliosi, come quella volta in cui – mentre io gli camminavo alle spalle e con un occhio osservavo che non inciampasse e con l’altro che non scivolasse sul ghiaccio, mia moglie che aveva in grembo Giovanni – dopo che caddi rovinosamente prendendo la peggior sederata della mia vita Marco mi diede la mano e con il sorriso orgoglioso che solo i bambini di tre anni sanno avere mi disse felice: “Papi, meno male che ti ho salvato io, altrimenti chissà che male ti facevi!”

Insomma, per noi camminare in montagna ha qualcosa di magico e, non so per quale ragione, ma se sono in mezzo ai boschi Marco e Giovanni sembrano non sentire nemmeno la fatica. Fin da quando erano piccoli (e crescendo la situazione non è affatto migliorata, anzi), portarli in giro in città è un delirio costellato da innumerevoli “abbiamo finito?”, “sono stanco”, “ora possiamo tornare a casa?”, ma se siamo fra gli alberi della montagna si sentono solo passi svelti, saltelli ed esclamazioni entusiaste come: “Guardate! Un termitaio gigante!!”.

Forse è perché quella passione non era né mia, né della loro madre, ma è qualcosa che tutti e quattro abbiamo creato assieme, che abbiamo scoperto nel medesimo momento, senza la pretesa o la speranza che uno l’ereditasse dall’altro.

Quello che è certo è che ormai da qualche anno non possiamo perderci una cosa bellissima nata proprio in quelle montagne; si chiama Orme ed è il festival dei sentieri (quest’anno sarà dall’11 al 13 settembre). Tre giorni di bosco vissuto in maniera diversa ed entusiasmante, con concerti, letture, spettacoli di improvvisazione o anche solo camminate, crepitii di foglie schiacciate e rametti spezzati.

Lo scorso anno fu il turno di Shakespeare. Il bardo di Stratford Upon Avon fu il protagonista di un pomeriggio di improvvisazioni cui Marco e Giovanni parteciparono con entusiasmo travolgente. Non avevano la più pallida idea di chi fossero Puck, Lady Macbeth, Rosalinda e tutti gli altri, ma bastò un attimo perché quei personaggi gli diventassero amici e perché loro si divertissero, assieme a noi, a creargli nuove vite all’ombra degli alberi del bosco di Fai. E fu così che Lady Macbeth si ritrovò innamorata di un panettiere, che Puck diventò, grazie alla fantasia di Marco, un disegnatore di manga giapponesi e che tutti quanti noi ridemmo a crepapelle.

Quest’anno a Shakespeare seguirà Dante e io già sorrido all’idea del destino che i miei figli riserveranno a Beatrice, Farinata degli Uberti e pure al povero Caronte. Ma nei boschi, si sa, tutto è magico e possibile.

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