Viviana aveva dei momenti di agitazione e dei momenti di serenità: non era semplice capire di cosa avesse bisogno o fino a che punto”. Così parla Emanuele Bonfiglio, amico e datore di lavoro di Daniele Mondello. E tutto sembra confermare quest’altalena. La Bibbia come unico conforto, Viviana la teneva in mano, mentre camminava di fronte la chiesa di Venetico, giù e su per il sagrato, declamando versi. Così l’hanno vista i vicini nelle settimane precedenti la scomparsa. Ma già a ridosso del giorno dell’incidente, il 3 agosto, stava meglio: “Era andata in gita al mare col marito e il figlio a Patti, erano sereni”, sottolinea Pietro Venuti, legale di Daniele Mondello, papà di Gioele e marito di Viviana. L’attesa di fronte alla camera mortuaria è lunga: inizia dalle 8, finirà dopo le 14. Gli avvocati, ma anche il padre di Daniele, Lillo Mondello, la sorella, Mariella, e alcuni amici fanno da scudo al papà di Gioele mentre aspetta l’esito dell’autopsia sul quel che resta del piccolo. Il passo pesante, le spalle curve, il viso scavato, Daniele Mondello trascina le Nike Air Monarch da un lato all’altro del piazzale, e non parla con la stampa. Ma tra avvocati e amici, c’è chi lo fa per lui. Emanuele Bonfiglio si stacca dal gruppo in tarda mattinata, e offre la sua versione dei fatti, in difesa dell’amico. L’amico al quale aveva dato lavoro. Daniele, infatti, a novembre aveva smesso di andare in tournée per le sarete da dj e si era messo alla guida di un pullman che porta anziani e disabili dall’entrata del cimitero fino alle tombe dei familiari defunti. Un servizio che la ditta di Bonfiglio era riuscito ad avere in appalto e che offre al dj messinese l’occasione per stare di più a casa: “Ma già prima del lokdown aveva deciso di non lavorare più per starle ancora più vicino“.

Viviana aveva bisogno di una maggiore presenza, questo pensava il marito già a novembre. E cercherà di fare di più. Un acquisto di una casa a Tremonti, un quartiere popolare a nord di Messina, vicino alla casa della famiglia di lui, così che Viviana stesse meno da sola: “Quando Daniele era al lavoro, interveniva il padre di lui o la sorella, se c’era bisogno, ma giustamente hanno considerato che non era conveniente fare ogni volta più di 20 km”. A Venetico, infatti, non avevano amici. Dal 2010 vivevano in questo piccolo paesino sulla costa messinese che è popolato soprattutto d’estate. D’inverno si svuota e i due facevano una vita molto ritirata, forse troppo: in paese li vedono spesso ma nessuno ci ha stretto amicizia. I genitori e la sorella di Daniele stavano invece a Messina. Per questo, Viviana aveva accettato di cambiare casa, ma quando la vendita di quella in cui viveva pare concretizzarsi si agita, si confonde: “D’improvviso si è rifiutata”, racconta Bonfiglio. “Siete tutti peccatori, io confido in Dio”, questo declamava sul terrazzo di casa nel video girato dal marito per mostrare al padre di Viviana come stesse la figlia. “Sì, ho visto quel video – rivela Bonfiglio -. Daniele ha provato di tutto per starle accanto. Si rivolgeva al suocero perché era Viviana la parte forte della coppia. Decideva tutto lei. Quando lei aveva questi momenti, Daniele spaesato si rivolgeva a Luigino Parisi, non sapendo che altro fare”, scuote la testa l’amico del marito di Viviana.

“Alternava momenti. Stava bene, era lucida, poi si riagitava. Era difficile dire che stesse davvero male e Daniele pensava che almeno stare col bambino la confortasse”, sottolinea. Dal piccolo non si staccava mai, neanche quando lo tenevano i nonni: “Lei supervisionava sempre”, continua. Anche quello che mangiava: “Gli omogeneizzati non li comprava – rivela Bonfiglio – Gioele ha mangiato soltanto pappe preparate da lei. Una mamma molto attenta al piccolo. E un carattere molto dominante: in casa decideva tutto lei, su questo non c’è dubbio”. Ma era sempre più magra, sempre più cupa e da qualche tempo “spariva per qualche ora senza portarsi il cellulare”, rivela ancora. Piccole fughe, dalle quali rientrava sempre, tanto che quel giorno, il 3 agosto, Daniele non si è allarmato subito. Stavolta però, la Polstrada lo ha chiamato perché la sua auto era ferma al termine di una galleria in autostrada a un centinaio di km di distanza da Venetico. Lui non aveva un’altra auto a disposizione e si è rivolto ad un amico. Arrivato sul posto, non capisce subito che Viviana e Gioele sono dispersi. Viene trattenuto un paio d’ore – secondo quanto riferito dall’avvocato e dai suoi amici – per il riconoscimento e le domande di rito, lui pensava che la moglie e il piccolo fossero in ospedale: “Se avessimo capito subito che erano dispersi in campagna, ci saremmo messi subito a cercarla”, spiega l’amico che era con lui quel giorno. Ma anche per la Polizia stradale non è ancora chiaro dove siano finiti la mamma e il suo bambino.

Un drone il mattino seguente ha registrato un’immagine che ritrae il corpo di Viviana già rivolto verso terra così com’è stato poi trovato cinque giorni dopo la scomparsa. “Ma poi anche le telefonate, gli avvistamenti di Viviana e Gioele a Giardini, ci avevano convinto che fossero altrove, l’abbiamo cercata lì”, riflette ancora l’amico. I primi attimi dopo la sparizione erano preziosi. Ma riavvolgere la storia, a posteriori, è un’operazione dolorosa. Anche riavvolgendola di sei mesi. Cioè quel 17 marzo quando l’agitazione di Viviana per la prima volta ha passato il vaglio dei medici: la donna gridava, credeva che il piccolo fosse morto, forse un sogno, i vicini si decidono a chiamare i soccorsi. A quel punto i medici dell’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto le prescrivono un antipsicotico. “Però lei ha firmato le dimissioni, non voleva restare lì, cosa si poteva fare?”, si chiede Bonfiglio. Poi col lockdown, il forte isolamento, già patito a Venetico, si è aggravato. La porterà in ospedale un’altra volta il 28 giugno successivo: stavolta per avere ingerito troppe pillole del medicinale. “La pregavano tutti di prenderlo e lei si rifiutava”, continua l’amico e datore di lavoro. Quel giorno forse voleva attirare l’attenzione, lanciando un grido d’aiuto: ne ingerisce troppo, Daniele la porta di corsa al Policlinico di Messina. “Una volta in ospedale non c’è stato bisogno, però, neanche della lavanda gastrica”, chiarisce Venuti, le viene somministrato solo del carbonio per ristabilirla, ma i valori sono a posto.

Sono i mesi precedenti a quel maledetto 3 agosto. Un vissuto complesso, altalenante, non facile da decifrare che ha portato a quel mattino, quando è partita alla volta di Motta D’Affermo, i familiari ne sono convinti: “Lo aveva detto a tutti che voleva andarci, a Daniele, alla cognata Mariella”. E fino all’incidente sembra un comportamento “lucido”, sottolinea Venuti. Che spiega: “Esce dall’autostrada per fare il pieno, i caselli sono automatici, lei ha solo pezzi da 50 euro con sé, spinge il grande pulsante rosso e dice di non avere monete, un operatore le risponde che uscirà il biglietto di mancato pagamento e potrà farlo dopo. Lei lo ritira, poi va a fare benzina. Riprende l’autostrada, in quel punto potrebbe confondersi perché l’imbocco per Messina è più facile, invece si incanala senza incertezze verso destra, imboccando la direzione verso Palermo”. Tutto lineare. Fino all’incidente, quando con la sua Opel urta il furgone, scoppia una ruota e sbanda. Ed è lì che adesso si stanno concentrando i rilievi della scientifica per capire se in questo momento il piccolo ha sbattuto la testa o lo sterno. Non era legato, questo si vede dalle immagini della telecamera del rifornimento di benzina di Sant’Agata: Gioele era dove stava sempre, dietro ma in piedi tra i due sedili davanti. Ha sbattuto, è morto nell’impatto? Sei tracce sono allo studio della Scientifica di Palermo per accertarlo, ma finora non c’è alcuna evidenza.

Il testimone rintracciato finalmente dopo tredici giorni ha detto che il bambino aveva la testa poggiata sulla spalla della mamma ma gli occhi aperti, era vivo. Mentre la tac sul cranio sarà fatta nei prossimi giorni. Ieri è stata fatta quella sul busto, dove ad una prima occhiata i medici legali hanno visto qualche indizio: “Come ogni corpo anche quello di Gioele ci dirà qualcosa, ma ci vorrà tempo per dire cosa: procediamo per fasi procedurali, quando avremo tutti i dati potremo confrontarli e capire”, è fiduciosa Elvira Ventura Spagnolo, docente di medicina legale all’università di Palermo, incaricata dalla procura di Patti. “Non sono sicuro che capirò com’è andata, forse è troppo tardi per sapere la verità”: questa è l’unica cosa che riesce a dire il papà del piccolo, ormai sfiduciato, alla fine della lunga attesa di fronte all’obitorio.

E anche la consulente di parte, Pina Certo, uscendo ieri dalla camera mortuaria mostra qualche dubbio sulla possibilità di avere risposte certe. Parleranno forse gli insetti che sta studiando Stefano Vanin, l’entomologo incaricato dalla procura: “Ho potuto raccogliere molte larve dai resti del piccolo, qualcosa ci diranno”. Intanto da oggi l’attenzione si sposta di nuovo nelle campagne di Caronia. Si cerca ancora, perché i rovi nella piccola vallata dove sono stati trovati i resti, potrebbero celare altre parti del bimbo. Sono trascorsi 24 giorni, dunque, ma ce ne vorranno ancora prima di potere dare l’ultimo saluto a Viviana e Gioele. I corpi resteranno a disposizione dell’equipe di esperti: “Siamo una squadra unita, in sintonia, non lasceremo niente di intentato”, assicura Spagnolo.

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