Il Milan ha travolto il Bologna 5 a 1. Stefano Pioli, l’allenatore del miracoloso “rientro” rossonero post confinamento, ha dato anima e carattere al Diavolo. I giocatori lo adorano. Gli tributano messaggi di solidarietà e di grande rispetto. Con grande discrezione e sensibilità, ha trasformato una squadra di sciamannati in una squadra che quadra. Che gioca e corre. Nelle otto partite della ripresa di questo strano campionato, il Milan ha segnato una valanga di gol, ha battuto Juve, Lazio, Roma, vinto sei volte e pareggiato due. Come l’Atalanta. Meglio di tutte le altre.

Eppure, nonostante questi straordinari risultati, su Pioli incombe lo sfratto. La proprietà americana del Milan, nella fattispecie per mano del suo amministratore delegato Ivan Gazidis, vorrebbe sostituirlo con il tedesco Ralf Rangnick. Il popolo milanista è in rivolta, la squadra, pure il polemico Zlatan Ibrahimovic rifiuta tale soluzione. Secondo il Corriere della Sera la Elliott sta studiando una soluzione di compromesso. Rangnick gran capo, Pioli in panchina. Il tedesco non ha ancora firmato e forse questa ipotesi non gli garba. Pioli tiene duro. Rangnick è un duro.
Basta guardarlo. La faccia del tedesco assomiglia a quella di Mark Rutte, il premier olandese leader dei Paesi frugali che non vuole scucire – magari con qualche ragione – i soldi del Recovery Fund alla sbollettata Italietta.

Ha appena compiuto 62 anni, ne ha sette più di Pioli. Non è proprio un giovincello. E’ nato a Backnang, una cittadina tedesca del Baden-Wutternberg, ai margini della Foresta Nera: vi scorre il fiume Murr. Pioli è dell’elegante e fascinosa Parma. Nel Medioevo, Backnang era un fiorente centro tessile, poi ha perso importanza, il colpo peggiore gliel’ha infierito la Guerra dei Trent’Anni. Parma è stata una piccola raffinata capitale. Lo è rimasta, nell’anima dei suoi orgogliosi abitanti. Ed è anche capitale del buon gusto, della lirica (la Busseto di Verdi è a una quarantina di chilometri), della cultura (quest’anno e l’anno prossimo è capitale della cultura italiana), nonché del buon cibo: il Parmigiano per molti è il formaggio più buono del mondo, il prosciutto una delizia.

Nella piazza principale di Backnang, quella del municipio, c’è una fontana che ricorda la “guerra delle oche”. I tedeschi sono ghiotti d’oca. Per tradizione, al Martinstag, il giorno di san Martino (l’11 novembre), comincia il periodo degli arrosti natalizi. Ai ragazzini si racconta che le oche avrebbero starnazzato così forte tradendo Martino che si era nascosto tra loro perché non voleva essere nominato vescovo. Come al Campidoglio, nei borghi medievali si usavano le oche come guardiane e forse a Backnang riuscirono a sventare un attacco notturno. Fatto sta che la Gans, l’oca, è il secondo piatto preferito dai tedeschi dopo le salsicce…

Nulla a che vedere con la magnifica piazza del Duomo di Parma, stupendo esempio di architettura romanica in Italia: passeggiare nel centro della città è stordirsi di bellezza e di Storia. Già questo la dice lunga sulle radici di Pioli e il contesto in cui è cresciuto e vive. Non c’è partita, mi dispiace caro Ralf…

Anche a pallone, il confronto non esiste. Pioli ha persino vinto con la Juventus una Coppa dei Campioni del 1984/85 e la Coppa Intercontinentale del 1985 quando aveva appena vent’anni: buon difensore ha giocato anche col Parma, il Verona e la Fiorentina. Rangnick, al suo confronto, è un lillipuziano: ha cominciato con la formazione riserve dello Stoccarda, senza mai brillare, continuando tutta la carriera nelle serie dilettantesche. Poiché studiava all’università del Sussex, dalle parti di Brighton, in Inghilterra, ha assaggiato il british soccer ma nei ranghi dello sconosciuto Southwick, dal 1979 al 1980. Chiude nel 1988, con la maglia biancorossa del TSV Lippoldsweller.

Ma già da cinque anni faceva il giocatore-allenatore. Dopo il ritiro agonistico, lo Stoccarda gli affida nel 1990 la under-19. Undici anni dopo eccolo sulla panchina della prima squadra, per le ultime cinque partite del campionato. E’ maggio, Ralf affronta la sfida con cipiglio e già alla seconda stagione conduce la squadra a vincere la Coppa Intertoto Uefa: è il primo trofeo internazionale dello Stoccarda (questa Coppa viene soppressa nel 2008). Nel febbraio del 2001, nonostante un discreto cammino in Coppa Uefa – riesce a guadagnare gli ottavi di finale – lo cacciano via perché in campionato la squadra fa pena. La stagione successiva trova impiego in seconda serie: il suo Hannover vince una storica promozione, dominando il campionato e segnando con 75 punti il record di categoria. Resta all’Hannover sino al 2004, poi passa allo Schalke04 e lo conduce al secondo posto, dietro l’inavvicinabile Bayern. Lo esonerano lo stesso, nel dicembre 2005, sebbene lo Schalke04 sia secondo in classifica. Conte avrebbe le sue gatte da pelare se l’Inter fosse tedesca…

L’inizio di Pioli è simile, ma più “nobile”: tre stagioni alle giovanili del Bologna con cui conquista il campionato nazionale degli Allievi. Per una stagione si trasferisce alle giovanili del Chievo. Nel 2003 il salto in serie B, con la Salernitana, all’esordio in Coppa Italia inchioda il Napoli sullo 0-0. La trafila propedeutica lo porta al Modena, ma alla seconda stagione è esonerato. Chi lo sostituisce perde tre partite consecutive così Pioli viene richiamato. Gli capiterà altre volte…

Nel 2006 Ralf Rangnick accetta il progetto dell’Hoffenheim: l’ambizione della squadra che milita in terza serie (la nostra C) coincide con la sua. Vogliono la Bundesliga. Il top. Ci riescono. Ralf resta all’Hoffenheim sino al 2011: se ne va perché litiga coi proprietari sul calcio mercato. Ritorna allo Schalke04 che porta in semifinale di Coppa Uefa, ma soprattutto a conquistare la Coppa di Germania. Un exploit. Tuttavia viene sconfitto da un male subdolo: lo stress. Si dimette perché travolto dall’esaurimento.

Le sfide del calcio sono micidiali. E’ un mondo che si sta rinnovando in modo radicale. Le squadre sono vere e proprie imprese, il calcio un’industria ormai globale. Girano miliardi di dollari, troppi per essere gestiti come una volta. E’ morto il tempo dei bilanci aggiustati in modo rustico. L’irruzione dei procuratori, il mercato dei giocatori che in realtà dura tutto l’anno, l’esigenza di impianti che non siano solo stadi ma centri di benessere, di divertimento e del tempo libero ha mutato prospettive e necessità.

Il calcio spettacolo deve coniugare la prospettiva globale – il business – con il livello individuale: occorrono dirigenti sportivi che siano anche manager, capaci di valutare in tempi ristretti i Big Data del settore, cioè l’insieme di analisi, transazioni ed informazioni per estrapolare, gestire ed elaborare ciò che può tornare indispensabile per far progredire la società. Connessioni e previsioni hanno sempre più rilevante valore economico.

La differenza tra Pioli e Rangnick sta tutta qui: Stefano è un allenatore tradizionale, aggiornato sulle tecniche di gioco ed è abile come psicologo per amalgamare i calciatori che ha a disposizione e valorizzarne i ruoli. Ralf è l’uomo che sa indicare la direzione verso cui il club può andare nel lungo periodo: ma è pur sempre una scommessa, giacché oggi è estremamente difficile pronosticare il calendario degli sviluppi significativi. Gli algoritmi non sono infallibili.

Dopo l’anno sabbatico per guarire dalla sindrome di esaurimento, Rangnick convince i boss della Red Bull a dargli in mano le due squadre di calcio che il gruppo possiede in Austria (Salisburgo) e in Germania (Lipsia). Ma la voglia di tornare in panchina è tale da fargli mollare, nella stagione 2015/2016, il ruolo di direttore sportivo del Salisburgo per assumere quello di allenatore dell’RB Lipsia che porta in Bundesliga. A missione compiuta, smette di fare il trainer e rimane direttore sportivo. Però non gli basta. Nel 2018 ritorna in panchina, porta il Lipsia al terzo posto (che vale la Champions) e nella finale di Coppa di Germania, dove il Bayern Monaco lo asfalta 3 a 0. Nuovo addio al termine della stagione 2018/2019. Ralf punta sempre più in alto: corona il suo lungo e alterno percorso professionale con la carica di responsabile dello sport e dello sviluppo calcistico della Red Bull.

Ma Pioli gli oppone la sua flemma e la sua signorilità. Si affida al mestiere. Ai risultati. Nell’era dell’ipervelocità tecnologica, Stefano pensa che gli esseri umani – quindi anche gli allenatori – possano controllare il mondo grazie alle loro capacità di cooperazione, e alla capacità di credere nelle narrazioni. Un po’ come nella piazzetta di Backnang, dove si evoca una leggenda che è una fiaba, e che magari è storia vera. Come la fiaba del Milan dopo la grande peste del coronavirus.

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