Le immagini della sua partenza per il Califfato avevano fatto il giro del mondo: insieme a due sue amiche coetanee, la 15enne Shamima Begum era partita nel 2015 da Gatwick, Londra, per unirsi ai miliziani dell’Isis in Siria. E oggi la Corte d’Appello britannica ha stabilito che la ragazza può fare ritorno in patria, perché ha accolto il ricorso presentato dalla sua famiglia contro la revoca della cittadinanza britannica decisa d’autorità nei suoi confronti nel febbraio 2019 da Sajid Javid, allora ministro dell’Interno del governo di Theresa May. Shamina era stata rintracciata in un campo profughi nel 2019: si era sposata con un jihadista olandese dieci giorni dopo il suo arrivo in Siria. Da lui ha avuto tre bambini, che sono tutti morti. Le sue due amiche, Kadiza Sultana e Amira Abase, sono state uccise dai raid aerei. Anche loro si erano sposate con due miliziani dell’autoproclamato Stato islamico.

A fronte dell’annuncio del ricorso dell’Home Office (il ministero degli Interni britannico) di fronte alla Corte Suprema, il rientro della ragazza resta però congelato. “Quello di oggi è un verdetto molto deludente, faremo istanza d’appello e il provvedimento (di revoca della cittadinanza) manterrà i suoi effetti” sino al giudizio finale, ha detto un portavoce ministeriale. “La priorità assoluta del governo resta quella di garantire la sicurezza nazionale e di proteggere i cittadini”. La sentenza è stata invece accolta con favore dall’avvocato di Shamima Begum, Daniel Furner, secondo il quale essa rappresenta “un memento del fatto che i diritti fondamentali” di una cittadina britannica “non si estinguono anche se questa si sposta all’estero o se ci sono accuse gravi contro di lei”. Sollievo è stato espresso pure dall’organizzazione per i diritti umani Liberty, che ha assistito la famiglia nella causa.

Il governo conservatore aveva invocato a sostegno del provvedimento la norma del diritto internazionale che consente di revocare la cittadinanza a persone che siano in grado di ottenerne un’altra, sostenendo che Begum, pur nata e cresciuta in Gran Bretagna, avrebbe potuto diventare cittadina del Bangladesh grazie a sua madre. La famiglia ha tuttavia replicato che la giovane non ha mai vissuto nel Paese asiatico, mentre le autorità bengalesi hanno escluso di poterle dare il passaporto.

A suo tempo la decisione del governo May era stata contestata pubblicamente solo dall’allora leader laburista, Jeremy Corbyn, e da pochi altri esponenti d’opposizione o di maggioranza, stando ai quali Shamima avrebbe dovuto essere indagata ed eventualmente processata nel Regno per i suoi legami con l’Isis, ma non privata del diritto al rimpatrio. L’ex ‘sposa di Allah’ ha rilasciato nel 2019 una serie d’interviste, nelle ultime delle quali si è detta infine pentita. Ha inoltre partorito un bebè, avuto da un ex miliziano, che secondo alcune fonti sarebbe morto oltre un anno fa fra gli stenti del campo profughi.

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