Sarà forse che un titolo in caduta libera a Piazza Affari rende nervosi ma le dichiarazioni che filtrano da casa Benetton sfiorano il surreale. La famiglia di Ponzano Veneto risponde a Giuseppe Conte che, in un’intervista al Fatto Quotidiano, accusa gli imprenditori veneti di prendere in giro il governo. Il gruppo ricorda infatti di “avere sempre rispettato le istituzioni: quando in passato è stata sollecitata ad entrare in diverse società così come oggi”. Quasi che gli investimenti in Autostrade, Aeroporti di Roma e Autogrill siano stati un sacrificio fatto per il bene del Paese. In realtà queste operazioni hanno consentito ai Benetton di fare il salto che tanti imprenditori agognano: “dall’inferno della produzione al paradiso della rendita”. Hanno infatti assicurato profitti miliardari proprio mentre Benetton group, la storica attività nell’abbigliamento, iniziava un lento e, per ora, inesorabile declino generando perdite per un centinaio di milioni l’anno. I Benetton si sono sempre dichiarati lontani dalla politica e, salvo qualche flebile e lontano legame con il partito Repubblicano, non ha mai sostenuto apertamente forze questa o quella maggioranza. Certo è che hanno saputo approfittare abilmente di tutto ciò che governi di sinistra e destra hanno offerto negli ultimi 25 anni all’imprenditoria privata del Paese.

LA VINCITA ALLA LOTTERIA AUTOSTRADE – Il colpo grosso è stato naturalmente l’ingresso in Autostrade e vale la pena ricordare come fu effettuata questa operazione. Fine anni ’90, a palazzo Chigi si avvicendano Romano Prodi e Massimo D’Alema. Il governo di centrosinistra deve ridurre il debito pubblico per entrare nell’euro e vuole accreditarsi presso gli investitori come forza amica del mercato e lontana dal suo passato comunista . Inizia la stagione delle privatizzazioni. Uno dei piatti forte è appunto Autostrade. I Benetton fiutano l’affare, hanno soldi da spendere ma riescono a fare di meglio: mettere le mani sulla rete a costo per loro quasi zero. Nel 1999 pagano l’equivalente in lire di 2,5 miliardi per comprarsi il 30% di Autostrade, la metà sono soldi loro, l’altra metà prestiti. Nel 2003 comprano un altro 65% di Autostrade pagando altri 6,5 miliardi. A questo punto però i debiti fatti dai Benetton vengono scaricati sulla società acquisita (una tecnica nota come “leveraged buyout”) e in parte ripagati negli anni successivi grazie ai profitti ottenuti con i pedaggi che salgono di anno in anno più dell’inflazione. Ciò non di meno il debito resta a zavorrare la società che pure, nella sua posizione privilegiata di monopolista, continua a generare ingenti flussi di denaro. Non solo. I Benetton vendono in Borsa una quota del 12% di Autostrade e incassano altri 1,2 miliardi di euro. Alla fine insomma riescono a recuperare tutto quanto speso per comprarsi la rete Autostradale. Da quel momento in poi basta stare seduti e godersi la vista dei contatori al casello che continuano a girare. Ogni anno Autostrade incassa circa 4 miliardi di euro, garantendo profitti vicini al miliardo di euro che in buona parte vengono distribuiti ai soci in forma di dividendi. Per i Benetton, che oggi controllano il 30% di Atlantia, che a sua volta possiede l‘88% di Autostrade, significa(va) intascare circa 300 milioni di euro l’anno.

Nelle casse di Atlantia affluiscono anche i guadagni realizzati da Aeroporti di Roma, comprati dai Benetton nel 2007 dalla compagine Gemina (Romiti), Impregilo e Falck che aveva acquistato gli scali dallo Stato nel 1997. Anche in questo caso la famiglia pesca il jolly. Nel 2009 il Governo Berlusconi proroga la concessione originaria per la gestione degli scali della capitale di altri 35 anni ma soprattutto toglie il tappo alle tariffe che possono essere alzate dal gestore ai fini dell’ammodernamento dell’infrastruttura. Un “regalo” dal governo Berlusconi era già arrivato nel 2008 grazie al rinnovo delle concessioni autostradali, per di più senza i vincoli di verifica previsti in precedenza. Provvedimento che passa anche con i voti della Lega.

LA BRUTTA AVVENTURA IN TELECOM Nel 2001 i Benetton si lanciano nell’avventura Telecom al fianco di Marco Tronchetti Provera e qui le cose andranno un po’ meno lisce. Pirelli e Benetton rilevano il gruppo tlc da Roberto Colaninno con un esborso di circa 7 mld. Attraverso un complicata architettura finanziaria, riescono a comandare pur possedendo una piccola fetta delle azioni del gruppo evitando una costosa offerta pubblica di acquisto di cui avrebbero beneficiato anche i piccoli azionisti. La catena di controllo è così strutturata Gpi-Camfin-Pirelli & C.-Pirelli Spa-Olimpia-Olivetti-Telecom Italia-Tim. I Benetton con la loro finanziaria Edizione holding entrano in Olimpia. Le cose però non vanno bene come sperato. Di soldi freschi dai nuovi azionisti di controllo ne arrivano pochi e per ridimensionare il debito viene messo in vendita tutto quello che sui può vendere ad eccezione di Tim Brasil. Le quotazioni scendono e nel 2006 Tronchetti Provera esce di scena. I Benetton rimangono e faranno parte del nuovo azionariato insieme a Generali, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e gli spagnoli di Telefonica. Usciranno definitivamente di scena nel 2009 con una perdita su questo investimento vicino ai 2 miliardi di euro.

ALITALIA Dopo la tragedia del ponte Morandi, con il braccio di ferro sulle concessioni in atto, i Benetton vengono sollecitati ad investire in Alitalia per tentare l’ennesimo salvataggio della compagnia. Si ragiona di un impegno intorno ai 300 milioni di euro. Peraltro un’Alitalia rivitalizzata avrebbe portato beneficio ai Benetton attraverso Aeroporti di Roma. Ma la pandemia cambia le carte in tavola. La sospensione dei vincoli di bilancio fa si che dalle casse dello Stato saltino fuori 3 miliardi di euro per sostenere la compagnia. Soldi che strappano dalle mani dei Benetton un’arma di ricatto nelle trattative con il Governo sulle autostrade.

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