“Non siamo migliori. Vogliamo chiedervi perdono per lo scandalo che abbiamo suscitato e per la contro-testimonianza che abbiamo dato”. Inizia così la lettera che i fratelli e le sorelle di Bose hanno scritto e pubblicato sul loro sito, a seguito del decreto della Santa Sede che ha allontanato dalla comunità il suo fondatore, Enzo Bianchi e i confratelli Lino Breda, Goffredo Boselli e Antonella Casiraghi.

A un mese esatto dalla consegna del provvedimento all’ex priore, dopo un lungo silenzio, è tornata a farsi sentire la voce di Bose provando a mettere una pietra sulla vicenda: “Molti di voi ci hanno chiesto – con discrezione e rispetto, insistenza e preoccupazione, sconcerto o qualcuno perfino con rabbia – una parola sulla vicenda che ha coinvolto la Comunità e che è causa di molte e profonde sofferenze”.

Nella missiva i monaci e le monache tornano sulla questione provando a chiarire: “La visita apostolica è stata avviata dalla Santa Sede, a partire da diverse segnalazioni circa profonde sofferenze nella vita fraterna a Bose e dopo averne verificato la fondatezza. La Comunità ha accolto la visita in obbedienza, come segno di attenzione paterna da parte di papa Francesco e come aiuto a discernere le cause profonde di un grave malessere relativo ‘all’esercizio dell’autorità, la gestione del governo e il clima fraterno’ a Bose”.

Non una sola parola sui contenuti del decreto, sulle ragioni dello scontro tra l’attuale priore Luciano Manicardi e Enzo Bianchi, sulla “vaticanizzazione” in corso, come la definiscono fonti interne alla comunità. Anzi. Le parole nella lettera parlano dell’autonomia di Bose pur ammettendo problemi che pochi avevano compreso: “Per notificare il decreto e avviarne l’esecuzione, la Santa Sede ha nominato padre Amedeo Cencini delegato pontificio con pieni poteri, non “commissario”: non ha ritenuto cioè di dover esautorare il priore Luciano legittimamente eletto nel 2017 – e riconfermato dalla Comunità due anni dopo, come richiesto dallo Statuto – bensì di sostenerlo nel suo ministero di presidenza all’unità della Comunità. Unità che i visitatori avevano constatato essere seriamente compromessa, vedendo la profonda sofferenza quotidiana, lo sconforto e la demotivazione suscitati in molti fratelli e sorelle”.

C’è poi un passaggio significativo sul futuro di Bianchi, Boselli, Breda e Casiraghi: “Le disposizioni che hanno suscitato maggior impatto sia in Comunità che tra gli amici e presso l’opinione pubblica sono state indubbiamente la richiesta a Enzo e ad altri tre membri di allontanarsi dalla Comunità e dalle Fraternità, restando fratelli e sorelle di Bose, per vivere per un certo tempo ciascuno in un luogo diverso, non necessariamente monastico”.

Tradotto in altre parole: l’ex fondatore e gli altri potrebbero non andare in monasteri ma vivere in autonomia ed indipendenza.

La comunicazione inoltre precisa che non si è trattata di un’epurazione anche se di fatto così è stata percepita da molti: “Nessuna espulsione, quindi, nessuna cacciata, ma un allontanamento temporaneo di alcuni membri della Comunità che ad essa continuano ad appartenere. Le motivazioni specifiche di questa parte del provvedimento sono state comunicate dal delegato pontificio in forma riservata a ciascuno dei fratelli e alla sorella implicati nei provvedimenti. Queste disposizioni non riguardano assolutamente questioni di ortodossia dottrinale: non vi è per loro nessun divieto di esercitare il ministero monastico di ascolto, di accompagnamento, di predicazione, di studio, di insegnamento, di pubblicazione, di ricerca biblica, teologica, patristica, spirituale”.

Un ultimo passaggio parla di “una crisi che ha in verità radici più lontane” e di “una rimodulazione della Comunità successiva agli esiti della visita”. Forse la comunità di Bose così come l’hanno conosciuta in molti non sarà più la stessa di sempre.

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