Impossibile capire bene cosa stia succedendo all’economia mondiale in relazione alla crisi del Covid e alle politiche messe in atto per arginare il contagio. Altrettanto difficile è estrarre la verità scientifica dalla pandemia, le teorie sono tante – alcune decisamente imbevute di dietrologia – ma i fatti scarseggiano.

Che succede? Ma soprattutto cosa succederà? Una bussola economica che nei momenti di grande crisi raramente sbaglia è il prezzo dell’oro. E allora proviamo ad affidarci a questa per capire dove ci troviamo e dove stiamo andando.

Per renderci conto del valore politico del metallo giallo facciamo un piccolo passo indietro nella storia e torniamo agli anni ‘70. Dopo la tragica dichiarazione di Richard Nixon, che poneva fine alla convertibilità del dollaro in oro, si pensò che l’oro fosse destinato solo all’industria dei gioielli, ma non fu così. Quando subito dopo lo shock petrolifero della metà degli anni 70 l’inflazione iniziò a galoppare, per difendersi dall’erosione del valore delle monete cartacee gli investitori comprarono oro, confermando che non c’è bene rifugio più popolare del metallo giallo. E questo è vero anche oggi.

Dallo scoppio del Covid la corsa all’oro è ricominciata e il prezzo ha ripreso a salire – oggi è per il 25 per cento più alto di un anno fa. Nell’incertezza chi ha liquidità la parcheggia in lingotti e azioni di miniere d’oro. Questo comportamento ci dice che nei momenti di pericolo e di grande incertezza il prezzo dell’oro sale perché sale la domanda. Anche dopo il crollo della Lehman Brothers si verificò lo stesso fenomeno e il prezzo dell’oro iniziò a salire vertiginosamente arrivando nel 2011 a ben 1.900 dollari l’oncia. Poi, improvvisamente, iniziò a scendere.

La natura politica dell’oro fa sì che sia estremamente sensibile agli eventi politici, vedi il Covid. Ma è anche vero che essendo un bene rifugio che appartiene ad un mercato molto piccolo è anche molto sensibile alle opportunità economiche e finanziarie alternative.

La discesa iniziata nel 2011 è legata all’impennata degli indici di borsa che attrassero liquidità. Gli investitori decisero di vendere le posizioni in oro per acquistare quelle in azioni e così il prezzo dell’oro quasi si dimezzò: ciò significa che chi lo aveva acquistato vicino al picco perse intorno al 40 per cento del proprio investimento. Una perdita di questo genere nel mercato azionario succede solo nei grandi crolli. E’ dunque importante usare l’oro con la massima cautela ed essere pronti ad abbandonarlo nel momento giusto.

E’ vero che negli ultimi trent’anni il prezzo del metallo giallo non ha fatto che salire – da 400 dollari l’oncia nel 1990 è passato a 1.900 nel 2011 – ma è anche vero che fino al 2007 il prezzo si è mosso di soli 200 dollari. Dal crollo della Lehman al 2011 il prezzo dell’oro in dollari è salito di ben 1200 dollari. Fu questo il grande momento di crescita.

Come può questa breve cronistoria dell’oro aiutarci a navigare l’incertezza del presente? La risposta è semplice: i mercati temono il ritorno dell’inflazione, i soldi dall’elicottero in circolazione nel sistema economico stanno già spingendo i prezzi di alcuni beni verso l’alto. Chi sostiene che ci troviamo in una fase recessiva sbaglia: in realtà i beni e i servizi operativi, ad esempio i prodotti alimentari, costano di più. E’ solo questione di tempo prima che le tendenze inflazioniste inizino a farsi sentire.

In fondo anche all’indomani della crisi finanziaria del 2007 il timore era l’inflazione. Lo stimolo da migliaia di miliardi di dollari immesso nel sistema e finito nelle tasche delle banche e finanziarie produsse la cosiddetta ‘asset inflation’, l’inflazione dei beni dalle case alle tenute ai beni durevoli come le automobili. Il lingotto offrì protezione a chi poteva acquistarlo.

Morale: prepariamoci all’ondata inflazionista, che a differenza della seconda ondata del Covid sicuramente ci travolgerà tutti. E se avete diverse migliaia di dollari a disposizione comprate qualche lingotto.

Articolo Precedente

Tutti vogliono prestiti dalle banche. Ma la verità è che più credito vuol dire meno sviluppo

next
Articolo Successivo

Alitalia, una succursale dell’Inps. Troppe imprese protette galleggiano mentre dovrebbero fallire

next