“L’Italia ha sempre avuto poca fiducia nei veicoli elettrici. Fiat ha investito nel Gpl e metano, mentre la svolta con la Fiat500 elettrica è solo recente – spiega Stefano Caserini del Comitato Scientifico di Italian Climate Network – E gli incentivi di rottamazione dimostrano la poca visione del governo in questa direzione”.

Un chiaro segnale arriva dai numerosi emendamenti proposti al Dl Rilancio per sostenere i sussidi per mezzi ad emissioni elevate: Maurizio Lupi (gruppo misto) nel suo emendamento chiede di allocare 95 milioni di euro per il 2020 e 180 milioni di euro per il 2021 per diesel e benzina. Una posizione condivisa dalla Lega e persino da una parte di Pd con il deputato Benamati che suggerisce ben 200 milioni non tanto per le auto elettriche ma per mezzi tradizionali che superano i 61 g/km di CO2. Senza nessun tetto alle emissioni del veicolo.

Se il mondo delle fossili gongola, chi ha scommesso sulla decarbonizzazione scuote la testa. “Serve un piano di investimenti di respiro nelle infrastrutture per l’elettrificazione – spiega all’autore Péter Ilyés, Ad di E.on Italia – Ci sono tre vincoli per l’accelerazione della penetrazione delle e-car: autonomia dei mezzi, il costo dei veicoli e l’accessibilità alla ricarica. Un intervento di agevolazione da parte dello stato dovrebbe riguardare il secondo, ma anche il terzo vincolo, favorendo lo sviluppo dell’infrastruttura e l’interoperabilità dei punti di ricarica”.

Rimanere indietro sull’elettrico ­potrebbe avere impatti importanti sull’industria automotive, il suo indotto e il settore delle utilities. “La mobilità elettrica è tra le più grosse rivoluzioni industriali del secolo. Il panorama sta cambiando in maniera veloce, quindi ora sta raggiungendo mass market – spiega Stefano Caserini – Il target europeo di 95 gCO2/km ha portato a programmare più di 300 modelli di auto al 2025 e una spinta di investimenti da 60 miliardi. 40 sono andati in Germania, mentre l’Italia con Fca ha ricevuto investimenti per meno di 2 miliardi”.

Fermo anche il mercato delle batterie: “Oggi, in Europa, sono in fase di pianificazione 16 gigafactory, gli impianti di produzione di celle di batterie. Nessuno in Italia per il momento – spiega Veronica Aneris, di Transport&Environment – Queste factory dovrebbero produrre una capacità di circa 131 Gwh al 2023, sufficiente per affrancare nel giro di qualche anno l’Ue dalla dipendenza della Cina in termini di batterie per le auto. Per questo è nata l’EU Battery Alliance. L’Italia è parte dell’iniziativa, ma ad oggi ha un ruolo di mero osservatore. Stando anche al Piano Colao appena presentato il governo italiano sembra non aver capito l’importanza per il paese di essere parte attiva in quella che rappresenta la maggiore rivoluzione industriale del secolo, la mobilità elettrica”.

Infine, in ottica di economia circolare, l’Italia deve investire negli impianti di fine vita delle batterie. Altrimenti rischia di non avere nemmeno questa filiera fondamentale, insieme a quella delle pale eoliche, dell’economia circolare per l’energia. Michele de Palma, il segretario nazionale della Fiom/Cgil, ha lanciato un appello al presidente Conte, chiedendo un confronto con il governo “per discutere di come produrre le auto del futuro e poter salvaguardare il futuro ambientale e occupazionale del nostro paese”. Fca dovrebbe ricevere 6,3 miliardi di euro di prestito a tasso agevolato dallo Stato.

Per Veronica Aneris “Si devono imporre delle condizioni minime, come raddoppiare la produzione di auto elettriche, rilocalizzandola in Italia (stando ai dati in nostro possesso oltre metà della produzione europea Fca al 2025 sarà fuori dal paese, con gravi conseguenze occupazionali, Nda) ; chiudere gli investimenti in nuovi modelli diesel, benzina e motori bi-fuel incluso il gas fossile, non più tardi del 2025; facilitare la creazione di una gigafactory italiana”.

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