Si aggrava la posizione dell’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, ai domiciliari il 19 maggio scorso per le presunte pressioni fatte sul un magistrato di Trani affinché mandasse a processo un uomo che questi ultimi avevano accusato – ingiustamente per gli inquirenti – di usura. Il tribunale del Riesame di Potenza ha infatti rigettato la richiesta di annullamento depositata dal suo difensore, l’avvocato Antonella Pignatari, ma soprattutto ha modificato una delle accuse nei confronti del magistrato da “induzione indebita a dare o promettere utilità” punito con un massimo di 10 anni di reclusione a “concussione” che prevede una pena massima fino a 12 anni di carcere.

La decisione del collegio è arrivata poche ore fa: i giudici potentini hanno in sostanza dato pienamente ragione alla tesi della procura guidata da Francesco Curcio. Le motivazioni saranno depositate entro i prossimi 45 giorni, ma appare altamente probabile che determinanti potrebbero essere state le nuove carte depositate nel corso dell’udienza dagli inquirenti. La pubblica accusa, infatti, aveva presentato atti processuali e testimonianze per dimostrare l’esistenza di rapporti pregressi tra gli imprenditori e Capristo. Come documentato da ilfattoquotidiano.it si tratta di due fascicoli di indagine che coinvolgevano alcuni degli imprenditori.

In uno di questi, uno dei fratelli era iscritto nel registro degli indagati e, secondo l’accusa, grazie all’interessamento di Capristo, all’epoca procuratore capo a Trani, la sua posizione sarebbe stata archiviata. Dai nuovi elementi raccolti si tratterebbe di una accusa di falsa testimonianza in un’inchiesta che coinvolgeva anche altri indagati: tra tutti, però, l’unico per il quale non sarebbe stato chiesto il rinvio a giudizio è proprio uno dei fratelli Mancazzo. Il secondo caso scovato dalla procura lucana, invece, è un’inchiesta per truffa nei confronti di alcune persone denunciate proprio dagli imprenditori. Una sorta di fac simile del caso che ha portato all’arresto del magistrato: in quella occasione le persone denunciate sarebbero finite a processo e poi assolti nei successivi gradi di giudizio. Atti che secondo la procura lucana possono quanto meno accertare che i Mancazzo non erano sconosciuti al procuratore Capristo. Ma non è tutto.

La procura di Potenza oltre ai documenti processuali relativi a questi due casi, avrebbe inoltre depositato anche una serie di testimonianze: la procura, quindi, avrebbe interrogato soggetti in grado di smentire le dichiarazioni che Capristo aveva rilasciato nell’interrogatorio di garanzia, quando aveva sostenuto di non conoscere i Mancazzo. Resta ancora da chiarire se tra queste testimonianze ce ne siano anche alcune di altri magistrati in servizio alla procura di Trani, dove Capristo era procuratore prima del suo trasferimento a Taranto. Da quanto risulta, infatti, entrambi i fascicoli era affidati a dei sostituti procuratori che rispondevano a Capristo.

Non sono bastate, insomma, le dichiarazioni degli altri indagati che nell’interrogatorio di garanzia dinanzi al gip Antonello Amodeo avevano reso i suoi coindagati dichiarando che Capristo fosse all’oscuro di tutto. In particolare era stato il suo autista, l’ispettore di polizia Michele Scivittaro, a raccontare che il magistrato non sapesse nulla della “visita” fatta da lui al pm di Trani Silvia Curione per chiedere un’accelerazione della richiesta di rinvio a giudizio di un uomo che i fratelli Mancazzo avevano denunciato per usura. Scivittaro e i Mancazzo avevano infatti sostenuto che l’idea di capire che fine avesse fatto quella indagine era nata da un colloquio tra compaesani di cui Capristo non era stato informato. L’avvocato Antonella Pignatari che difende il magistrato, inoltre, aveva chiesto l’annullamento del provvedimento sostenendo che non vi fossero più le esigenze cautelari dato che poco dopo il suo arresto Capristo ha avanzato richiesta di pensionamento.

Nell’inchiesta, com’è noto, è coinvolto anche Antonino Di Maio, successore di Capristo come procuratore di Trani. A lui, infatti, si rivolse proprio la pm Silvia Curione per denunciare le pressioni di Capristo per pilotare l’indagine a favore dei Mancazzo, ma la sua risposta fu un ulteriore colpo per la pm tranese. “Non essere emotiva” perché si potrebbero aprire “chissà quali scenari” avrebbe sostanzialmente risposto Di Maio al suo sostituto. Una sorta di moral suasion che secondo la procura di Potenza serviva a salvare il suo predecessore. “Riferii nel dettaglio quanto era capitato al Di Maio – ha poi raccontato la Curione ai colleghi di Potenza – rimarcando ovviamente il tentativo di influenzare la sottoscritta al fine di agevolare i Mancazzo, gli dissi che era inammissibile a mio avviso che addirittura persone che non stavano da circa due anni nel nostro ufficio volessero continuare a farla da padrone, ovviamente mi riferivo allo Scivittaro e al Capristo”, ma la reazione del suo capo ufficio fu sconcertante.

Di Maio “espresse un convincimento contrario dicendomi che ben potevamo trovarci di fronte a millanterie, per cui mi invitò a non essere emotiva”. Eppure poche settimane dopo, proprio Di Maio aveva autorizzato l’avvio delle intercettazioni sui telefoni dei Mancazzo che da vittime di usura diventavano indagati per calunnia. Per Di Maio la portata della vicenda era ben chiara al punto ammorbidire la sua sostituta. “Di Maio – aggiunse infatti Curione – su questa specifica attività non obiettò nulla ma disse che così facendo avremmo dato stura a chissà a quali scenari. In altri termini mi disse che andavamo a fare un’attività molto delicata, che in altri termini poteva portare al coinvolgimento di un altro collega e che in questi casi bisogna essere molto prudenti”.

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