di Valerio Pocar

Vedremo se dalla fase 2 si passerà alla fase 3, nonostante la spensieratezza incosciente di una parte della popolazione. Intanto, questa fase 2 si è caratterizzata per due aspetti, entrambi prevedibili in una situazione economica di grande incertezza, che, almeno per molte categorie, è risultata assai pesante. Da un lato, lo sforzo del governo di reperire e stanziare risorse da distribuire ai lavoratori, alle imprese grandi e piccole, agli artigiani e ai nuovi poveri nonché, meno male!, alla scuola e alla sanità. Questo sforzo, non privo di generosità, si rivela non sempre razionale e spesso frutto della volontà di accontentare tutti e di non scontentare nessuno, che è la strada migliore per scontentare tutti. Interventi a pioggia, con numerose incongruenze. Un quadro facilmente prevedibile che non suscita stupore o scandalo.

Dall’altro lato un fenomeno che qualche stupore potrebbe suscitare. Tutte le categorie produttive esistenti e anzi tutti coloro che possono sostenere di essere stati danneggiati dalla clausura alla quale il Paese è stato costretto dall’emergenza pandemica si sono fatti avanti non per chiedere, ma per pretendere come “dovuto” il sussidio statale, con le vivaci recriminazioni degli esclusi che si affermano o si millantano come i «veri» danneggiati. Anche questa gara di tutte le categorie a protestarsi come la più sventurata non ci sorprenderebbe, se non fosse per un aspetto.

Siamo convinti che il Paese versi in una condizione economica disastrosa e che molte siano non tanto le categorie quanto piuttosto le persone a trovarsi in una condizione di ristrettezza e addirittura di nuova povertà, più di quanto già non fosse in epoca prepandemica. E altrettanto siamo convinti che bene agisca il governo quando si propone, magari non sempre in modo convincente, di tamponare la situazione sia sotto il profilo del ripristino del tessuto produttivo sia sotto quello della stimolazione dei consumi. Detto questo, però, ci sia consentita un’osservazione.

Le categorie che più strepitano – parliamo, s’intende, delle categorie, non dei singoli – magari con buona ragione, gli artigiani e i commercianti, non erano quelle che fino a ieri s’identificavano nello slogan “meno Stato e più mercato”? quelle che invocavano come una panacea la riduzione se non l’abolizione delle tasse? quelle che fino a poco tempo fa chiacchieravano di “Roma ladrona”? quelle tra le quali soprattutto si annidavano (o si annidano? o si annideranno?) gli evasori fiscali? Proprio costoro, al momento del bisogno, riscoprono lo Stato e pretendono, non chiedono, di attaccarsi alla sua mammella, che forse, alimentata dai cento e passa miliardi di imposte evase ogni anno, potrebbe persino essere più generosa.

I grandi imprenditori non sono da meno. Chiedono finanziamenti alle banche e, facendosi forti della tutela dei posti di lavoro (peraltro già garantiti e pagati dallo stato) chiedono anzi pretendono, taluna con argomenti che si potrebbero definire di stampo estorsivo, che lo Stato garantisca il debito. Se si trattasse di crediti fondati su validi progetti industriali, le banche li concederebbero senza la malleveria dello Stato, altrimenti la pretesa puzza del rifiuto del rischio d’impresa con scarico del rischio sulla collettività col pretesto della eccezionalità del momento. Beninteso, anche questa non è una sorprendente novità. L’impresa capofila della richiesta ha seguìto, fin dalla sua origine, la strada di farsi finanziare dalla mano pubblica nelle difficoltà ingrassandosi di profitti quando la sua economia tirava. Del resto, il neopresidente degli industriali ha auspicato i finanziamenti statali, purché lo Stato si guardi bene dal farsi imprenditore.

Lo Stato offre la mammella a tutti, con finanziamenti anche a fondo perduto. Una forma di finanziamento che in molti casi ha senso e anzi è dovuta, quando si tratta di solidarietà sociale, ma in molti altri casi va rifiutata. Sta bene rilanciare l’economia, ma proprio per questa ragione occorre che si tratti di finanziamenti produttivi e non di regali. Siccome i danari non crescono sugli alberi, le somme erogate devono prima o poi, sia pure con tempi, modi e tassi agevolatissimi, rientrare nelle casse dello stato che le ha erogate, a meno che non s’intenda girarle a carico della collettività. Lo Stato sta erogando a debito e la concessione di finanziamenti a fondo perduto significa scaricare il debito sulle solite categorie: lavoratori dipendenti e pensionati, o, peggio ancora, trattandosi di un debito che graverà pesantemente negli anni a venire, significa scaricarlo sulle future generazioni delle solite categorie: lavoratori dipendenti e pensionati. Non staremmo a dire queste cose se fossimo certi che tutti i contribuenti in futuro saranno onesti, ma tutto lascia presumere che l’evasione fiscale continuerà ad essere un elemento strutturale della nostra società, sicché ci concediamo di prevedere che alla fine, al solito, pagherà pantalone.

Non vogliamo entrare nel tema dell’opportunità dell’intervento della stato nell’economia, tema che fino a ieri era controverso e non vogliamo qui prendere posizione. Prendiamo soltanto atto che oggi sia i keynesiani sia gli stessi neoliberisti sono unanimemente concordi nell’invocare l’intervento dello stato, pronti i neoliberisti, grandi e piccini, cavalieri d’industria o bottegai, a rifiutare la sua generosa mammella non appena si prosciughi e non offra il lucro sperato. Beninteso, dopo averla ciucciata, a carico dei soliti altri.

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