Spesso a parlare in Italia sono “gli altri”: le prime donne in cerca di visibilità, quelli che vogliono convincere il loro “pubblico” o colleghi di sapere ma che in realtà non ne capiscono niente. Quelli che colgono l’occasione della notizia per i loro 15 minuti di celebrità televisiva. Nessuna categoria esclusa. Parlano tanto tutti gli altri, spesso senza chiedere il parere o il punto di vista dei diretti interessati.

Una riflessione che è sorta spontanea leggendo il tanto – troppo – sulla questione plasma e Covid. Sottopongo un banalissimo quesito: cosa sarebbe tutto questo “circo” senza le uniche persone necessarie “alla fonte”, ovvero i volontari che donano sangue?

Stiamo parlando, secondo gli ultimi dati forniti dal Centro Nazionale Sangue, di circa un milione e 600mila persone, con un aumento dello 0,2%, dopo anni di decrescita. Di queste persone quasi il 92% è rappresentato da donatori iscritti alle associazioni di volontari. Di loro però non c’è traccia. Ovvero: nessuno li ha mai interpellati rispetto alla questione che strumentalmente o meno viene rilanciata sull’ipotesi di utilizzo del plasma (non è certo una novità) – derivato dal sangue – come (questa è la novità) cura al Covid-19.

Sarebbe invece interessante ricordare e sottolineare che dietro a tutto ciò ci sono persone “comuni” che per loro iniziativa personale, motivazione etica, anche solo semplice, banalissima generosità decidono di fare una donazione periodica. Così come sarebbe bene ricordare come in Italia, fino a prova contraria, il sangue e tutti gli emocomponenti sono considerati “bene pubblico tutelato dalla legge”.

Il plasma raccolto in Italia, lo ripeto, proviene da donazioni volontarie, periodiche, responsabili, anonime e gratuite. Sottolineo gratuite. Il plasma quindi è quella che potremmo definire la “materia prima per la produzione” attraverso processi di separazione e suddivisione industriale, di medicinali plasmaderivati, alcuni dei quali rappresentano veri e propri farmaci salvavita.

Con tutti i nostri difetti di sistema Paese, l’Italia rimane tra i primi posti a livello europeo per la quantità di plasma raccolta e inviata alle aziende farmaceutiche autorizzate alla lavorazione industriale. Ma non viene rimarcato mai abbastanza che la cosiddetta “titolarità della materia prima” plasma – e dei suoi derivati – rimane pubblica.

La filiera è questa: le Regioni conferiscono il plasma raccolto attraverso i servizi trasfusionali decentrati alle aziende autorizzate alla trasformazione industriale del plasma per la produzione finale di medicinali plasmaderivati.

Quello che non viene abbastanza rammentato è che il contratto con le aziende, che fungono quindi da fornitori di servizio, è considerato una modalità di “lavorazione per conto terzi”, ma la titolarità resta pubblica.

Dunque il vero argomento di cui una politica seria dovrebbe interessarsi sarebbe quello di blindare il rapporto tra “aziende di trasformazione” e utilità pubblica (magari predisponendo per legge che le pratiche avvengano attraverso realtà universitarie e non imprese milionarie private) anche solo per rispetto – una volta tanto – per gli anonimi, generosi ma non per questo mona (come si direbbe nel nord-est d’Italia) donatori di sangue. Donatori che avrebbero certamente più diritto di essere ascoltati e raccontati – anche perché più interessanti nella narrazione – di tante “prime donne” che al contrario annoiano così tanto.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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