Difficile misurare e prevedere la diminuzione di climalteranti dovuti al blocco delle attività in tempo di coronavirus, perché essa dipende da quali settori dell’economia hanno chiuso e le aspettative di ripresa nel corso dell’anno. Benjamin Storrow, in un documentatissimo articolo spegne alcuni entusiasmi sulla caduta delle emissioni durante la pandemia.

Se si calcola che ormai 4 miliardi di persone in tutto il mondo si sono fermate per contribuire ad arginare la diffusione del virus, il confronto con le previsioni dei meteorologi (poco oltre il 5% nel 2020), pur rappresentando il più grande calo annuale mai registrato, rimane al di sotto del calo del 7,6% che gli scienziati dicono che è necessario ogni anno nel prossimo decennio per impedire che le temperature globali aumentino di oltre 1,5 gradi Celsius.

Non c’è proporzionalità diretta tra calo dei prodotti e abbassamento delle emissioni. Quindi perché le previsioni non prevedono un calo maggiore di CO2 durante una delle peggiori catastrofi economiche della vita? Nei fatti la pandemia sta causando una caduta libera economica che differisce dalle precedenti recessioni.

Solo se le riduzioni di anidride carbonica non ripartissero secondo il cosiddetto “ritorno alla normalità” che sta a cuore di tutti i governi (si pensi da noi agli aiuti a Fca e Alitalia e al mantenimento delle centrali a carbone) registreremmo un obiettivo in linea con l’auspicio dell’Ipcc. Ma occorrerebbe un grande movimento che prema sui governi del mondo e sulle multinazionali e una svolta dalla produzione energivora alla cura dell’intera biosfera e un cambio degli stili di vita.

Sia negli Stati Uniti che in Cina il lockdown non è stato utilizzato per mutare il segno dell’eventuale ripresa, ma solo per tenere in vita con la manutenzione indispensabile il modello che riprodurrà quanto prima le emergenze in corso. I cali in Cina e Usa sono stati solo del 25% e del 14% nel mese di maggior diffusione del virus e la maggior parte dei meteorologi ipotizzano che l’economia riprenderà nella seconda metà dell’anno, spingendo le emissioni verso l’alto con un rimbalzo.

Anche in uno scenario in cui le emissioni sono diminuite del 25%, i tre quarti della produzione globale di CO2 continuerebbero durante un blocco annuale. A differenza delle recessioni passate, il trasporto sta guidando il calo delle emissioni. La spedizione è rimasta costante e la produzione è stata lenta a chiudere. Molte acciaierie e centrali a carbone hanno continuato a funzionare per tutto l’arresto, sebbene spesso a livelli ridotti.

Al contrario è calato il traffico di trasporto individuale delle persone: del 54% nel Regno Unito, del 36% negli Stati Uniti e del 19% in Cina, mentre i viaggi aerei, nel frattempo, sono diminuiti del 40%, con un riflesso drastico sul calo del petrolio (-65% kerosene; -41% benzina). Eppure, l’economia globale sta ancora consumando molto petrolio, sia per gli usi militari e per il mantenimento degli slot da parte delle compagnie aeree, sia per il trasporto su ruota e ferro con diesel.

Poi ci sono prodotti petrolchimici, che sono stati colpiti in modo diseguale dalla crisi. Le materie plastiche utilizzate nella produzione automobilistica sono in calo, ma quelle usate per l’imballaggio alimentare sono in aumento. I numeri mostrano quanto sia intrecciato il petrolio con l’economia globale e quanto sarà difficile decarbonizzare l’economia semplicemente attraverso l’adeguamento comportamentale. Le auto e gli aerei possono essere parcheggiati in massa, eppure il consumo di petrolio diffuso continua.

Questa prima fase di pandemia è stata pagata più dal trasporto aereo e di auto, ma meno dall’elettricità e dal gas naturale. Il carbone, anche se demonizzato in epoca di pandemia, rimane cruciale per la generazione di elettricità in tutto il mondo e rappresenta il 40% delle emissioni globali di CO2, più di qualsiasi altro combustibile. Assieme al petrolio, rimane un ingranaggio centrale nella produzione economica in tutto il mondo.

Ma mentre comincia ad essere matura una lotta per la conversione delle centrali a carbone e gas nelle economie avanzate, la pandemia sottolinea la necessità di rendere da subito accessibili le energie naturali per le parti in via di sviluppo del mondo su cui potrebbe essere riversato l’eccesso di fossili continuamente estratto.

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