“Eh no, adesso basta. Stop alle bugie, agli insulti, alle interpretazioni del tutto false delle conversazioni tra me e Luca Palamara. Pubblicate il 4 maggio su La Verità. Ripubblicate il 23 e ancora il 24 su Libero. Chiosate sul Riformista del 22. Con commenti del tipo: “I più importanti giornalisti parlavano con Palamara e partecipavano alle operazioni politiche in corso per determinare i nuovi equilibri nella magistratura” (Riformista). “Compari di merende”. “Intrecciano relazioni tese a incidere sulla corretta informazione”. “È bene che il pubblico sappia con chi ha a che fare”. “Cronisti vassalli” (Libero)”. Lo scrive sul suo blog su Repubblica la cronista giudiziaria Liana Milella in un articolo intitolato “Io e Palamara”. Nei giorni scorsi la chiusura delle indagini da parte della procura di Perugia sull’ex presidente dell’Anm – protagonista di una indagine per corruzione da cui sono emerse manovre di palazzo per influenzare il Csm e decidere anche i capi degli uffici giudiziari – ha permesso il deposito di tutti gli atti. Nei faldoni ci sono le conversazioni di Palamara con magistrati e anche con giornalisti. Fra quest anche la firma di Repubblica che da sempre si occupa di cronaca giudiziaria e politica giudiziaria. Quindi appare più che scontato che potesse conversare con un magistrato che aveva avuto un ruolo apicale nel sindacato delle toghe. Dalle carte degli inquirenti umbri continuano a emergere manovre di palazzo per piazzare candidati benvoluti, alleanze tra correnti, carriere indirizzate. Uno scandalo – con le correnti che si dividevano le nomine – che l’anno scorso aveva provocato un doppio terremoto all’interno del Consiglio superiore della magistratura e nella Anm stessa.

“Faccio questo mestiere da 40 anni – spiega Milella -, con fatica, quella di ogni giorno per cercare le notizie. Con l’onore di aver tenuto sempre la testa alta e aver detto dei no quando c’era da dirli. È la mia storia, di cui vado fiera. Non consento a nessuno di sporcarla. Né tantomeno, attraverso di me, di attaccare Repubblica. Di cosa stiamo parlando? Delle intercettazioni di Palamara, depositate a Perugia. In cui ricorre anche il mio nome. E certo che c’è. Perché seguo il Csm e la politica della giustizia. Perché nella primavera del 2019 l’argomento più gettonato a palazzo dei Marescialli era chi avrebbe occupato la poltrona di procuratore di Roma dopo Pignatone. Palamara non era più componente del Csm, ma la toga più influente di Unicost. Nonché ex presidente dell’Anm ai tempi dello scontro con Berlusconi, nonché pm di Roma, con l’ambizione di diventare procuratore aggiunto. Un magistrato intervistato ovunque. Una fonte per chi scrive un articolo come quello pubblicato su Repubblica il 24 maggio del 2019 proprio sul destino di Roma”.

Con “questa fonte – prosegue Milella – io ho avuto delle normalissime conversazioni. Quelle che intercorrono tra un giornalista che vuole sapere che succede e una fonte che risponde. Tutto lapalissiano. Nessuna “merenda” di mezzo. Neppure un panino. Solo la fatica di scoprire dei retroscena. La fatica che il cronista onesto fa ogni giorno per scrivere un articolo. Nessun gioco. Nessun patto. Nessun favoritismo. Solo notizie. In questo caso come si sarebbero schierate le correnti della magistratura nella scelta del procuratore di Roma. Con chi votava Unicost? Stava con Magistratura indipendente e non con la sinistra di Area? E Palamara, che aveva fatto domanda anche per la procura di Torino, dove avrebbe preferito andare? “Ti metto a Torino?” Chiedo a Palamara. Ditemi voi cosa c’è di così “infame” in questa domanda”.
“Scorretto – perché io non uso l’espressione “infame” – è invece il tentativo di colpire chi si è sempre battuto per la trasparenza delle carte giudiziarie, per la piena pubblicazione, anche delle intercettazioni. Pubblicatele pure le mie conversazioni. Non ci troverete nulla se non l’insistente sforzo di convincere una fonte a parlare. Certo, per chi da decenni scrive solo commenti, capisco che il dialogo può risultare da extraterrestre”, conclude Milella.

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