Le allerte sono diventate reali. L’altro virus esiste davvero e sta seriemente sfruttando l’epidemia di Covid-19 per tornare in circolo. L’altro virus sono le mafie, e in questa occasione è Cosa nostra, l’organizzazione criminale più antica e da anni ormai considerata in fase calante. Una fase calante molto lunga e che non sembra finire mai. L’ultima operazione della Guardia di Finanza coordinata dalla procura di Palermo ha portato all’arresto di 91 tra boss, gregari, estorsori, prestanome e colletti bianchi. Non ladri di polli, ma spesso professionisti legati a due storiche famiglie di mafia: i Ferrante e i Fontana. In pratica il quarto di nobiltà di Cosa nostra nelle borgate dell’Acquasanta e dell’Arenella. Clan importanti che hanno fatto la storia della piovra, custodendone segreti e celandone miliardi di profitt.

“Da Palermo a Milano, clan delocalizza senza intimidazione” – I vecchi tempi, però, sono passati da un pezzo. E i clan, ormai, lavorano su scala nazionale. “Seguendo uno schema che da diversi anni è riscontrabile nei provvedimenti di confisca relativi nell’Italia settentrionale e nelle oramai numerose sentenze sugli insediamenti delle cosche calabresi, siciliane e campane al nord, anche il clan dell’Acquasanta sta de-localizzando le sue attività al nord, grazie ad una rete di complici su quei territori e ai patrimoni”, scrive il giudice per le indagini preliminari, Piergiorgio Morosini. L’operazone, infatti, ha certificato come i capimafia fossero da anni di casa a Milano. I due ordinanze di custodia cautelare lunghe più di 3.400 pagine, il gip riassume le accuse e ricostruisce gli affari dei clan al Nord. Dove “peraltro – annota il giudice – vengono realizzati senza intimidazioni, con una contaminazione silente ma non meno insidiosa per il tessuto connettivo dell’economia nazionale, in termini di alterazione della libera concorrenza, indebolimento delle tutele per i lavoratori ed esposizione delle istituzioni alla corruzione”.

“Con l’emergenza va rivalutata la pericolosità sociale degli indagati” – Ma non solo. Perché a parte il traffico di droga, il business del caffè, delle corse dei cavalli truccate e delle slot machine, il giudice evidenzia come ci siano alcune circostanze che hanno”dei riflessi anche sulla valutazione della pericolosità sociale” degli indagati. Elementi che possono portare a “reiterare gravi condotte illecite idonee a produrre un grave inquinamento per l’economia di certi territori“. E si tratta di circostanze “sopravvenute” successivamente “rispetto al tempo della formulazione delle istanze cautelari da parte del pubblico ministero”. In pratica rispetto a quando la procura ha depositato la sua richiesta si è verificata una situazione che rende ancora più probabile che amplifica la pericolosità sociale degli indagati, con il rischio che continuino a commettere i reati se lasciati in libertà. Di cosa parla il gip? Dell’emergenza coronavirus. “In passato – si legge nelle carte – i settori tradizionalmente colpiti al centro-nord dal contagio mafioso sono stati il ciclo dell’edilizia e del cemento, nonché lo smaltimento dei rifiuti e la filiera del turismo. Tuttavia, la crisi determinata dal coronavirus, potrebbe portare certi gruppi criminali particolarmente duttili ad esplorare anche comparti meno battuti che possono ora diventare molto redditizi, quali ad esempio la sanità, peraltro già interessata in Lombardia da indagini giudiziarie”.

Il progetto dei clan: “A rischio anche l’economia del Nord” – Ai riflessi economico-sociali dell’ emergenza Covid-19 e al “pericolo di reiterazione di reati della stessa specie”, Morosini dedica un intero paragrafo della sua ordinanza. E tratteggia come Cosa nostra possa mettere in cantiere un progetto ben strutturato per sfruttare l’emergenza coronavirus. Un disegno che segue tre canali paralleli: sostegno economico per le necessità di tutti i giorni alle famiglie in crisi, in modo da tornare a coltivare consenso sociale, caccia aperta alle piccole e medie imprese in grosse difficoltà, prima con prestiti a usura e poi appropriandosi direttamente di società che provengono dall’economia pulita, e infine la grande torta degli aiuti pubblici erogati proprio per tamponare l’emergenza economica. Sullo sfondo anche il ritardo del sostegno economico dello Stato ai piccoli operatori economici, dovuto a lunghi iter burocratici, che diventa assist per la mafia. A differenza della burocrazia statale, infatti, Cosa nostra è “in grado di assicurare interventi rapidi e concreti suscettibili, poi, di tradursi in forme di riciclaggio o reimpiego di capitali”. Attenzione, però. Perché a rischio non c’è solo il Sud Italia. “Secondo gli esperti più accreditati – ricorda il gip – i riflessi delle misure atte a contenere la pandemia fanno sentire il loro peso anche sulle realtà economiche del centro-nord Italia, con il relativo pericolo di aggressione da parte dei capitali mafiosi. Dalle indagini svolte negli ultimi anni dalle procure del nord, è emerso che, laddove i gruppi mafiosi annoverano insediamenti stabili riescono, con la compiacenza di alcuni professionisti, di segmenti delle istituzioni e di imprenditori indigeni, a investire in realtà aziendali che soffrono i frangenti in cui si manifestano le crisi di liquidità”. Ma andiamo con ordine.

Caccia aperta alle aziende in crisi – L’allerta del giudice per le indagini preliminari è dettagliata. “È prevedibile che, nelle prossime settimane, certi ‘avamposti criminali’ apriranno la caccia alle tante aziende in stato di necessità anche nel nord dell’Italia, dal momento che non è previsto un ritorno alla normalità in tempi brevi”. Una fattispecie che incide sulle possibilità di reiterazione dei reati: il pericolo rappresentato da Cosa nostra, in pratica è aumentato con lo scoppio dell’emergenza coronavirus. Il motivo? Il gip parla esplicitamente di “ricadute economico-sociali della recente adozione delle misure di contenimento del Covid-19 che hanno determinato la sospensione di buona parte della attività delle imprese e degli esercizi commerciali”. Proprio in questi giorni, spiega, “le misure di distanziamento sociale per il contenimento della epidemia stanno determinando anche sul territorio di Palermo (in particolare nei quartieri con maggiori difficoltà socio- economiche, tra i quali Arenella e Acquasanta) e più in generale sul territorio nazionale, un contesto assai favorevole ai piani della associazione criminale“.

Il piano di Cosa nostra: cibo per i poveri e più consenso sociale – Che tipo di piani? “Da una parte – si legge sempre nell’ordinanza – la attuale condizione di estremo bisogno (persino di cibo quotidiano) di tante persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, può favorire forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti”. È l’aiuto diretto ai quartieri e alle borgate, dove molti nuclei familiari sono stati duramente colpiti dal lockdown. Se prima riuscivano a stento ad arrivare a fine mese, oggi sono completamente in ginocchio. È qui arrivano le “possibili forme di sostegno mafioso a famiglie e persone in grave stato di necessità, che non possono permettersi di acquistare cibo quotidiano, in vista del reclutamento di una nuova leva di adepti o, comunque, di fiancheggiatori della organizzazione criminale”. È il consenso sociale, primo storico propellente dell’idea stessa di mafia: senza il favore di certi strati della società non ci sarebbe mai stata alcuna Cosa nostra. Un concetto che i clan conoscono molto bene ancora oggi. “Nel presente procedimento – spiega il giudice – si è evidenziato come la famiglia mafiosa dell’Acquasanta sia in grado di mettere concretamente in campo certe forme di ‘assistenza interessata‘, attraverso una rete collaudata di complici”. Il riferimento è ad alcuni supermercati che cedevano cibo a credito alle persone segnalate dai boss. Poi incassavano direttamente dal clan, che quindi pagava la spesa alle famiglie in stato di necessità. “In altri termini – si legge nelle carte – disponendo di ingente liquidità e di complici esercenti attività commerciali, i componenti della famiglia mafiosa e i loro fiancheggiatori, se in libertà, sarebbero in grado di soccorrere tanti lavoratori ‘in nero’, privi di fonti di reddito e difficilmente raggiungibili da ogni forma di sostegno alternativo da parte dello Stato (ad es. buoni alimentari)”. Sono gli ultimi, i dimenticati, che però, “assieme ai tanti disoccupati, potrebbero facilmente essere raggiunti dalla organizzazione criminale ricevendone un pronto intervento economico, in vista di una futura affiliazione o di una collaborazione che si presenti come una forma di corrispettivo per il ‘sussidio’ più rapido e diretto di cui hanno beneficiato”.

Usura, estorsione e riciclaggio per prendersi le società sane – Il secondo fronte del virus delle mafie al tempo dell’epidemia è rappresentato dalle aziende in difficoltà. “Il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese è in grado di cagionare una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà economiche, in relazione alla quale l’intervento dei componenti del gruppo mafioso potrebbe manifestarsi attraverso quei delitti tipici della predetta organizzazione criminale, vale a dire l’usura, l’estorsione, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni. Ossia quelle condotte penalmente rilevanti che, anche nel presente procedimento, connotano buona parte delle imputazioni elevate nei confronti degli esponenti di vertice della famiglia mafiosa”, è la descrizione fatta dal gip. Giudice esperto e di grande cultura storico economica, Morosini ricorda che “nella terza decade di marzo del corrente anno, le agenzie nazionali di rating e l’Unione nazionale delle imprese hanno pubblicato diversi documenti in cui si valutano la capacità delle diverse tipologie di imprese e di esercizi commerciali di ‘resistere’ al prolungato blocco delle attività, la loro solvibilità, le chances di ottenere prestiti e le condizioni necessarie per la ‘ripresa’ nei diversi settori di intervento. Secondo stime condivise dalle menzionate agenzie, i settori più colpiti dalle misure anti-contagio sarebbero quelli relativi alle piccole e medie imprese, agli artigiani, agli esercizi commerciali, in particolare bar, ristoranti, alberghi e altre strutture ricettive”.

“Crisi economica è occasione unica per Cosa nostra”- In pratica ad essere più esposto alla crisi economica è lo stesso settore in cui i clan di Palermo sono già presenti da anni. “Si tratta, unitamente agli investimenti nel settore dei cantieri navali, del baricentro delle attività commerciali che insistono sui territori di pertinenza del mandamento di Resuttana e della famiglia dell’Acquasanta, per come emerge dai dati ricavabili dalla indagine della Guardia di Finanza. Dunque, la drastica riduzione della redditività degli esercizi commerciali determinata dal blocco dell’attività, renderà assai difficile per i titolari delle attività sul territorio di Palermo il pagamento di canoni di affitto, degli stipendi dei dipendenti, degli oneri fiscali, dal momento che il ritorno alla normalità non è prevedibile che avvenga in tempi brevi”. Ed è qui che l’altro virus sfrutta i danni fatti dal corona: “Di tale situazione sono pronti ad approfittarne i clan, sempre pronti a ‘dare la caccia’ ad aziende in stato di necessità, come segnalato in questi giorni anche dalle autorità locali che evidentemente sono in grado di percepire il disagio e la sofferenza della comunità palermitana”. Il giudice quindi ricorda che “con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti, i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza tra operatori economici sul territorio e indebolendo i meccanismi di protezione dei lavoratori-dipendenti”. Insomma per rimanere ai clan dell’Arenella e l’Acquasanta, che già hanno “un controllo capillare di quel territorio e delle sue dinamiche economico-sociali”, sarà molto semplice per i mafiosi “approfittare della crisi dei piccoli commercianti e delle aziende di piccola o media dimensione, per rilevarne l’attività o per condizionarne fortemente l’operato”. In questo senso “la crisi economico-sociale determinata dal blocco forzato delle attività propone alla organizzazione criminale, fortemente radicata in certe aree della città, una occasione unica per riconquistare quello spazio di manovra sul territorio che in parte è stato ridimensionato da decenni di intensa attività di contrasto da parte delle forze dell’ordine e della magistratura, vanificandone l’effetto di tutela dell’ordine pubblico economico e sociale”.

“Il ritardo degli aiuti di Stato favorisce la mafia” – Il giudice per le indagini preliminari si sofferma anche sulle varie forme di aiuti economici stanziate dallo Stato proprio per aiutare famiglie e imprese in difficoltà. “Se è vero che le autorità centrali hanno deciso di stanziare ingenti risorse per il salvataggio di imprese ed esercizi commerciali, con un piano che prevede ammortizzatori sociali e forme di soccorso finanziario e fiscale, va, tuttavia, considerato che l’effettività di quel sostegno passerà per procedure amministrative che difficilmente consentiranno nell’immediato di far fronte alla crisi e che, quindi, potrebbero rivelarsi tardive o, comunque, di complessa attuazione per tante piccole realtà commerciali che già operavano in una situazione di non piena regolarità se non proprio di ‘circuito sommerso”. Insomma: la burocrazia e i tortuosi iter di accesso agli aiuti pubblici escludono una larga fetta di piccoli operatori dal sostegno statale. “Senza contare che la bontà dell’intervento pubblico passa anche per una sintonia tra enti locali, rappresentanze di categoria e istituti di credito che è tutta da sperimentare in un territorio maggiormente esposto a forme di illegalità nei circuiti della pubblica amministrazione ed economico finanziario, anche per via della risalente presenza della organizzazione criminale denominata Cosa nostra”. In questo contesto Cosa nostra è più forte: “Dunque, dei ritardi del soccorso o delle difficoltà tecniche di avvalersi del sostegno dello Stato per tanti piccoli operatori economici, potrebbe approfittarne l’associazione mafiosa, in grado di assicurare interventi rapidi e concreti suscettibili, poi, di tradursi in forme di riciclaggio”.

“Le manovra truffaldine per intercettare gli aiuti pubblici” – Ma se da una parte i clan sfrutteranno i ritardi dello Stato per intestarsi in via esclusiva la gestione del bisogno, dall’altra cercheranno in tutti i modi d’infiltrarsi per accedere agli stessi contributi pubblici. “Un ulteriore scenario – ragiona il gip – può incidere sul pericolo di reiterazione di reati da parte di componenti e fiancheggiatori di Cosa Nostra e attiene alla probabile scelta delle autorità centrali di far fronte alle profonde sofferenze dell’economia privata con forme di “helicopter money” (che verrebbero ad attingere a fondi europei)”. Di cosa parla il magistrato? “Si tratta della distribuzione veloce e generalizzata di aiuti, sussidi e crediti per imprenditori e operatori del commercio, destinata a caratterizzarsi come stimolo di natura eccezionale per favorire la ripresa economica e che, per essere tale, deve limitare all’osso i controlli preventivi delle amministrazioni pubbliche e degli istituti di credito sui potenziali beneficiari”. Quindi i cosiddetti contributi a pioggia, settore in cui da sempre le mafie sono specializzate. E che in tempi di emergenza diventa ancora più vulnerabile. “La velocizzazione dell’accesso alle misure di sostegno creditizio, affidata soprattutto al senso di responsabilità e alla correttezza dei richiedenti, potrebbe invogliare i componenti della organizzazione mafiosa a manovre spregiudicate dando fondo a reti relazionali collaudate, con imprenditori (sovente “prestanome”, non solo in aree di tradizionale radicamento), funzionari pubblici e agenti degli istituti di credito compiacenti, per attivare manovre truffaldine in grado di intercettare indebitamente denaro pubblico“. Insomma: anche quando lo Stato cerca di velocizzare l’accesso agli aiuti economici rischia di fare un assist ai clan. “In altri termini – continua il gip – la diffusa esigenza di arginare tempestivamente la crisi e la conseguente difficoltà di rendere effettivo il controllo su correttezza e genuinità delle richieste di accesso al credito (e il monitoraggio sulle modalità di impiego delle risorse ottenute), anche per la straordinaria ampiezza delle situazioni interessate, potrebbe invogliare l’associazione criminale ad attivare il suo ‘capitale relazionale’ per sottrarre risorse pubbliche agli scopi per i quali vengono giustamente stanziate“. Il coronavirus è stato solo l’inizio. Un altro virus, più pericoloso e perverso, è già in circolazione.

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Mafia, orologi, cavalli e caffè: gli affari cash da Palermo a Milano fino a Londra. Il pm: “Lo Stato scongiuri l’idea che i clan danno lavoro”

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