Usciti dal lockdown fisico, ora dobbiamo uscire dal lockdown più difficile, quello culturale del “life and business as usual”. È tempo di scelte per tutti noi, consapevoli che le scelte di oggi costruiranno il domani di tutti. Che mai come ora il futuro è nelle nostre mani.
Consumare cibo industriale di dubbia qualità con effetti negativi sulla nostra salute e la spesa pubblica, o privilegiare il km 0, i produttori locali (in crisi), la cucina in casa e con essa la salute nostra e dei nostri cari? Continuare a comprare su Amazon favorendo i suoi enormi profitti esteri o riannodare legami di comunità con gli esercizi locali permettendo la sopravvivenza delle famiglie che li portano avanti?
Sprecare plastica (più associato al cibo industriale e all’e-commerce) senza preoccuparci di creare un futuro di mondezza per i nostri figli, o costringere i produttori a fare scelte radicali sul packaging? Lavorare in ufficio 8-9 ore al giorno + 1 o 2 di trasporto, o ritrovare un equilibrio di una vita sensata con meno lavoro, e meno consumi inutili? Continuare ad usare la macchina, o pretendere con forza trasporti efficienti e usare la bici, pretendendo piste ciclabili e agevolazioni forti, ad esempio per quelle elettriche? Abbiamo il potere di orientare produzioni e politiche con le nostre mani e il nostro portafoglio. Dobbiamo solo avere comportamenti intelligenti, pensare, ora.
Tra il globalismo acefalo e insostenibile appoggiato dalla sinistra e il sovranismo impossibile proposto dalla destra populista, l’unica è un new global che tenga insieme il meglio della globalizzazione (internet, viaggi, scambi, prodotti e servizi globali di qualità, formazione di alto livello, sistemi intelligenti come il blockchain, finanza “green”, Ong) con la protezione delle comunità locali e multiculturali.
Non certo un improbabile “prima gli italiani” (o gli spagnoli, o gli inglesi…) ma un “prima la comunità” in tutta la sua ricchezza di culture, razze, interscambi umani ed economici. Un bel libro appena uscito (Io creo lavoro-Storia di immigrati stranieri, di Paola Scarsi, storica “portavoce” del Terzo Settore, e-book gratuito) racconta di quanti “imprenditori stranieri’ coraggiosi ed onesti stanno creando valore e posti di lavoro per gli “italiani” nelle comunità locali.
Il principio del km 0 è una immensa ricchezza in termini di salute, occupazione ed economia locale. Riparare (magari dal sarto e dal calzolaio locale) prima di buttare, riutilizzare e riciclare prima di riacquistare, acquistare prodotti di qualità non “fast” (food, fashion) e fatti in Italia invece che delocalizzati farà bene alle nostre radici e alla nostra economia e diminuirà lo sfruttamento globale.
Sono da sempre convinto che non basti “rifiutare il sovranismo” perché ha delle profonde ragioni di base e una rabbia comprensibile che va lavorata in soluzioni adeguate sottraendola ai demagoghi.
Tra un globalismo troppo squilibrato a favore delle multinazionali, della libertà di commercio e di sfruttamento globale, e un sovranismo impossibile e demagogico, incapace di sfruttare le opportunità di un mondo interconnesso, c’è un’ unica alternativa possibile e di buon senso: un new global centrato su green economy/economia circolare, in grado di ricreare più profondi legami di comunità aperte e tolleranti, in cui le differenze si trasformino in ricchezza locale e globale.
Come è stato per le tante aziende italiane, nate localmente e sviluppate globalmente, su criteri di responsabilità e creazione di valore locale – dalla Olivetti ieri, ai Rana e Cucinelli oggi. Come può essere per tante giovani start up di oggi, italiane o immigrate, laddove trovino spazio e simpatia locale.
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