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di Frederick Bradley

Tra le tante cose su cui la pandemia di coronavirus ci dovrebbe far riflettere c’è la negatività dell’eccesso. E’ ormai accertato che alcune importanti concause della comparsa e della diffusione del virus sono all’insegna del troppo: troppa distruzione dell’ambente naturale e conseguente troppa perdita di biodiversità, troppa promiscuità tra alcuni animali selvatici e l’uomo, troppa densità abitativa, troppa intensità dei trasporti, ecc. In verità, a queste categorie strutturali della nostra società si potrebbero aggiungere comportamenti tipici della nostra specie come troppo interesse personale, troppa avidità e perfino troppa stupidità, ma è bene limitarci ai fatti incontrovertibili e evitare polemiche.

Dire che il troppo faccia male appare un’ovvietà, come ricorda “il troppo stroppia” della saggezza popolare, ma ciò non toglie che l’argomento non abbia meritato approfondimenti scientifico-filosofici. Gregory Bateson ci dice che “il troppo è nemico del bene e che per tutti gli oggetti e le esperienze esiste sempre una quantità con un valore ottimale; al di sopra di esso la variabile diventa tossica, scendere al di sotto di quel valore significa subire una privazione.” Ma l’antropologo inglese dice anche che “questa caratteristica dei valori biologici non si riscontra nel denaro. Il denaro ha sempre un valore transitivo: più denaro è presumibilmente sempre meglio che meno denaro; per esempio mille e un dollaro sono preferibili a mille dollari.”

L’asserzione di Bateson è condivisibile se riferita al singolo individuo ma non lo è certamente se rapportata a un quadro globale. Poiché il denaro, come qualunque altra cosa, non è infinito, il suo eccesso a beneficio di uno (in genere pochi) porta inevitabilmente a una privazione a scapito di un altro (in genere molti). Se anche questa appare un’ovvietà in quanto riferita a un disequilibrio economico insito nel nostro sistema capitalistico, lo sembra meno quando l’eccesso avviene in una dimensione spazio-temporale diversa da quella della privazione che inevitabilmente causa.

E purtroppo nel nostro stile di vita questa è una condizione così frequente da poter affermare che miliardi di persone vivono più nell’eccesso che nella norma, anzi l’eccesso sembra ormai divenuto la regola del nostro quotidiano. Di fatto l’eccedenza, intesa come produzione in eccesso rispetto alle reali necessità, è la condizione indispensabile per far girare l’industria e non a caso la pubblicità serve proprio a creare dei bisogni, quindi una domanda, altrimenti non necessari.

Un esempio su tutti è l’eccedenza alimentare necessaria a far funzionare un supermercato (ma lo stesso concetto si potrebbe applicare a una grande quantità di attività o prodotti). Sugli scaffali ci deve essere sempre di tutto e di più e il compratore deve essere invogliato a comprare sempre di tutto e di più. Gli effetti collaterali più evidenti di questa condizione sono lo spreco e l’eccesso ingiustificato dei consumi. L’aspetto forse meno immediato sono invece le conseguenze che tali effetti hanno al di fuori della nostra sfera percettiva.

E qui sta il punto. Al di là dell’aspetto etico, certo di per sé sufficiente a condannarlo, quanti di noi si chiedono cosa lo spreco alimentare comporti a livello globale? Analogamente, a parte la ripercussione diretta sulla nostra salute, quanto l’eccesso nel consumo alimentare ci preoccupa per il suo costo complessivo in termini ambientali e sociali? Per chi voglia conoscere i numeri le fonti non mancano, ma purtroppo questi problemi fanno poca presa sul consumatore medio. Almeno fino ad oggi.

Sì, perché si dà il caso che i fattori (globali) su cui incidono siano gli stessi che concorrono alla comparsa e alla diffusione di pandemie come quella in cui ci troviamo. Quando ci accorgeremo che stiamo sconfinando nel troppo del nostro quotidiano, faremo bene a ricordarcelo.

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