Se in Regione Lombardia qualcuno pensava di scaricare la colpa della strage nelle Residenze sanitarie assistite (Rsa) sui tecnici, si sbagliava. Gli interessati, come il direttore sanitario dell’Agenzia di tutela della salute (Ats) dell’area metropolitana di Milano, il dottor Vittorio Demicheli, non ci stanno. L’epidemiologo in una lunga conversazione con ilfattoquotidiano.it, rivendica la bontà della delibera dell’8 marzo che ha aperto le porte delle residenze per anziani ai malati covid non acuti. Anzi, rilancia: le cautele, dice, c’erano tutte, il punto per lui è se le strutture hanno mentito sulle proprie disponibilità: “Se ci hanno detto che avevano il personale dedicato e non ce l’avevano gli tolgo l’accreditamento. Se hanno commesso dei reati ci penserà il giudice, ma non le ho fatte io quelle scelte, le hanno fatte loro”, dice salvo poi aggiungere che se i gruppi che gestiscono le Rsa fanno un passo indietro, è “un problema per tutti”. Per Demicheli, in ogni caso, è in corso una campagna di attribuzione di colpe che in realtà serve solo “a rimuovere la paura” che l’epidemia riprenda. Quanto alle polemiche sui livelli di assistenza degli anziani, a questi prezzi cara grazia che “li lavano, li cambiano e li vestono”, la colpa è – secondo lui – squisitamente delle scelte statali che incidono sul budget. E non sono certo questioni “che si risolvono con una preghiera …”

Dottor Demicheli, col senno di poi ritiene ancora che la delibera regionale lombarda dell’8 marzo sia stata una buona scelta o ha cambiato idea?
Non ho cambiato idea: quello che è successo ci dà ragione. In quel momento c’era una priorità che era quella di liberare i reparti per acuti. Normalmente lo si fa mandando i malati nella post acuzie. Si sono cercate delle strutture adatte e com’era prevedibile si sono trovate molte strutture post acute ordinarie, cioè riabilitazioni, lungodegenze, cure intermedie e pochissime Rsa, perché come dicevamo non è il setting ideale, gli standard di accreditamento non consentono di fare gli isolamenti perché non sono degli ospedali, quindi quelle che avevano le caratteristiche per poter ospitare i malati in uscita ancora infetti erano pochissime e così è stato. Hanno dato la disponibilità una quindicina di strutture in tutta la Lombardia, perché non sono le strutture per fare un’operazione del genere: sono quelle con cui normalmente svuotiamo gli ospedali quando la gente non può più rientrare a casa perché ha perso l’autosufficienza, però un conto è se hanno una gamba rotta o problemi a mangiare e lavarsi, un altro è se i problemi sono di isolamento respiratorio”.

Però queste persone che escono dagli ospedali sono ancora infettive…
Si, ma se vengono messe in una sezione separata, non costituiscono un problema particolare. Se vanno in un ospedale di riabilitazione che differenza c’è? Anche lì devono essere messi in camere dove è possibile attuare l’isolamento respiratorio. E negli ospedali cosa facciamo?

Ma negli ospedali ci sono delle strutture diverse, farmaci e medici diversi, infettivologi…
Se sono pazienti che possono andare in una Rsa, sono clinicamente stabilizzati, mentre le persone se devono essere curate vanno in ospedale e infatti quella delibera di cui parlano tutti a vuoto ha mosso complessivamente 2500 pazienti che sono andati tutti negli ospedali tranne 150.

Le Rsa non hanno personale separato, chi va a dare da mangiare a queste persone?
Se le Rsa hanno dichiarato una cosa e ne hanno fatta un’altra è un conto. Ma le strutture che si sono candidate a fare questa operazione, hanno dichiarato di avere padiglioni separati con personale dedicato. Non siamo mica matti. Abbiamo chiesto se c’era qualcuno che aveva la possibilità di ospitare delle persone in uscita dall’ospedale, clinicamente stabilizzate e ancora potenzialmente infette. La maggior parte di queste aspettava di fare poi il tampone. Queste persone dovevano essere messe in strutture dedicate, che vuol dire padiglioni separati e personale dedicato. Poi se qualcuno ha detto che era in grado di farlo e non lo era, lo andremo a vedere. Però la delibera non diceva: “Metteteli in Rsa”. Diceva: “C’è qualche Rsa in grado di garantire l’isolamento respiratorio?”. Hanno risposto pochissime, come era prevedibile.

Un po’ più di pochissime…
C’erano delle Rsa a Codogno o a Bergamo, che avevano svuotato interi padiglioni, perché l’epidemia era già passata e hanno proposto di ospitare pazienti in uscita dagli ospedali perché si erano già infettate. Sembra che qui ci fossero dei cretini che non sapevano che le malattie respiratorie vanno messe in isolamento e hanno mandato i malati dove capitava. State tutti parlando di questa cosa come se fosse una contaminazione orofecale, ma è una malattia respiratoria, assomiglia all’influenza, che entra in tutte le case, incluse le case di riposo. Ci si concentra su quell’operazione che è stata fatta all’inizio di marzo e ha prodotto i suoi effetti verso la fine di marzo, quando in realtà l’epidemia aveva già sbaragliato metà delle case di riposo della Lombardia. E mezze case di riposo della Francia della Germania… è successo così in tutta Europa, perché come l’influenza, non si riesce a tenere il coronavirus fuori dalle case: gira con le persone, con i parenti, con i fornitori…

Sappiamo tuttavia che le Rsa non hanno doppio personale…
Ci sono delle Rsa che hanno 150 posti, se hanno un padiglione di 25 posti separato, dove possono mettere un turno di personale dedicato, se le persone che entrano nella stanza hanno il dpi e sono solo loro…

Appunto: se hanno il personale e se hanno il dpi…
Io domando se c’è qualcuno in grado di garantire l’isolamento respiratorio. Se uno alza la mano e dice si, quella persona si assume la responsabilità di quello che dice, noi lo verificheremo ovviamente a tempo debito. Questa era la ratio di quella delibera. Le Rsa se vogliono sono in grado. In questo momento c’è ancora il pericolo che riprenda l’epidemia, mentre tutta l’Italia vuole rimuovere la paura, vuole dare la colpa a qualcuno di quello che è successo, per dimenticarsi che il virus riprenderà forza. Le probabilità sono altissime, mentre il desiderio collettivo è di pensare che in Lombardia c’erano dei cretini che non hanno saputo gestire l’epidemia. Se guarda quello che è successo nel mondo, ahimè nelle Rsa c’è stata una strage. Quella delibera non ha fatto né più né meno, non ha acceso la miccia come avete scritto voi.

Tuttavia le Rsa sono venute per ultime nelle possibilità di prevenzione e di gestione dei casi, questo è documentato. Poi la delibera in questione sicuramente non ha agevolato…
Era doveroso provare anche questa. Era prevedibile che non fossero in grado, ma qualcuna lo era. Qualcuna è riuscita addirittura ad operare un isolamento totale e non è stata infettata, però la stragrande maggioranza non ce l’ha fatta. Da quando si è fatta la delibera a quando sono partite queste condizioni, siamo arrivati in un periodo temporale, la seconda metà di marzo, dove comunque la disponibilità dei dpi e tutte queste cose era molto cambiata, non parliamo dei primi giorni dell’epidemia. E comunque se qualcuno sapendo di non avere dpi e di non avere personale, ha dichiarato il contrario, si assumerà la responsabilità di quello che ha dichiarato, però non vedo cosa ci fosse di folle… Abbiamo messo delle persone positive anche negli alberghi, nelle caserme, non è successo tutto questo, non mi dirà che in quelle situazioni si riesce ad ottenere un alto livello di isolamento respiratorio?

Non è piuttosto il momento di rivedere le regole d’ingaggio per queste strutture che hanno dei minutaggi risicati, per esempio?
Bisogna che ci guardiamo negli occhi e dobbiamo avere tutti la consapevolezza di quanto costa gestire bene un anziano. In questo momento lo Stato ci mette 50 euro al giorno e con 50 euro al giorno ci facciamo molto poco. Ormai una persona non autosufficiente non costa meno di 120-130 euro al giorno. Alle attuali condizioni economiche scordiamoci che gli diano da mangiare, lo cambino, lo lavino etc. Quindi benissimo, prendiamo tutti l’occasione e ripensiamoci, però per ripensare non bisogna ogni anno tagliare il budget della sanità. Bisogna cambiare completamente l’ordine di priorità con cui si finanziano i servizi pubblici.

Questo non lo decide la Regione?
No, i livelli di assistenza li decide lo Stato. La Regione fissa i minutaggi, ma quanto si può spendere dipende da una norma nazionale. Comunque io non sono partigiano di nessuna regione e i livelli fanno schifo sia nelle regioni di destra che in quelle di sinistra. Poi nella bufera di questi giorni non si capisce come qualche regione si vede e qualche altra no: le Rsa ce le hanno tutti e i morti ci sono stati da tutte le parti.

Non pensa che il primo punto da cui ripartire siano proprio queste strutture?
Il primo punto da cui partire è avere dei sensori acutissimi per accorgersi rapidamente dell’infezione che riprende. E poi nella revisione del nostro sistema di cura credo che non si possa inventa un sistema nuovo nell’emergenza, l’unica soluzione è pensare a dei contenitori da sacrificare al covid, cioè bisogna avere delle case di riposo covid dove portare i malati. E questo è già un dramma, perché un conto è spostare un malato acuto, un conto è spostare un anziano non autosufficiente: a volte vuol dire ucciderlo. Ma non avremo alternative nei piani di preparazione per l’emergenza: dovremo immaginare una rete di strutture integralmente covid e no covid. Sapendo che la velocità con cui si spostano le persone sarà essenziale, chissà se ce la faremo. Forse per le case di riposo possiamo immaginare di chiuderle, di blindarle, con dentro anche il personale.

E in prospettiva?
In prospettiva sicuramente dobbiamo porci il problema. Ma vedo anche altri problemi più immediati: ci sono molte famiglie che stanno portando gli ospiti a casa, gruppi imprenditoriali che hanno problemi di sopravvivenza. Questo clima, questa minaccia incombente di caccia alle responsabilità, rischia di provocare delle ripercussioni sulla salute degli ospiti che non vedo tanto positivamente. Molti gruppi non reggeranno la botta e se questo sistema va in crisi, se queste aziende si disimpegnano, avremo tutti un problema. Io non vedo di buon occhio chi specula sulla salute, però …

Le associazioni di categoria dei gestori di Rsa hanno chiesto l’apertura di un tavolo, per parlare del futuro e condividere regole. Qual è la vostra risposta?
Il modo con cui hanno affrontato il problema, che è stato quello di attribuire la responsabilità a chi li doveva controllare non favorisce tanto il dialogo. Sono disposto a ragionare fino allo sfinimento sul provvedimento che ritengo ininfluente sull’andamento della pandemia, dato che è stato utilizzato il canale standard e sono state premesse le dovute cautele. Adesso, probabilmente annusando il fatto che ci sarebbero state delle richieste di responsabilità, le associazioni di categoria hanno iniziato a dire che la colpa è della Regione che ha mandato loro i malati covid. Allora ognuno giocherà il suo ruolo. Noi fino a prova contraria stipuliamo dei contratti e li dobbiamo controllare, io gli vado a fare il mazzo se non rispettano i contratti: se ci hanno detto che avevano il personale dedicato e non ce l’avevano gli tolgo l’accreditamento. Se hanno commesso dei reati ci penserà il giudice, ma non le ho fatte io quelle scelte, le hanno fatte loro.

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