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di Luca Saltalamacchia

Taglialegna #stateacasa. E’ il titolo di una petizione lanciata su change.org dalle associazioni Isde Italia, Gufi e Altura. L’antefatto è costituito dalla richiesta, avanzata dalle aziende boschive (riunite sotto le sigle Conaibo ed Aiel) ed alcuni Comuni montani, di riaprire le attività di taglio degli alberi (vietata durante il periodo di quarantena in quanto considerata non necessaria).

L’antefatto dell’antefatto è la pericolosa manipolazione della realtà, che vuol far passare le aziende boschive come soggetti che hanno a cuore la foresta. Peccato che per loro la foresta non sia altro che un ammasso di alberi destinati a bruciare nelle tante centrali a biomassa, sempre più numerose grazie ai copiosi incentivi pubblici, che stanno provocando un pauroso saccheggio degli alberi.

La foresta, invece, è un insieme complesso, di cui gli alberi sono solo una componente che interagisce con le altre, svolgendo diversi ruoli fondamentali: ospitano e favoriscono la vita di fauna e flora, contribuiscono all’assorbimento della CO2 (in piena emergenza climatica, questo è un valore prezioso aggiunto) e alla regolazione del ciclo dell’acqua, prevengono il dissesto idrogeologico, favoriscono la biodiversità, etc.

Le motivazioni addotte delle aziende boschive sanno di arrampicata sugli specchi: il blocco dei tagli non consentirebbe di rispettare gli impegni contrattuali (cosa che – oltre a non essere vera – vale per tutte le attività bloccate); la gente non ha legna per riscaldarsi (in realtà esistono ancora scorte di legname, visto che la chiusura delle attività, come le pizzerie, ha portato al crollo del consumo di legna da ardere; peraltro questo è l’inverno più caldo di sempre in Europa con ben 3,4 gradi in più rispetto alla media); il legname serve per produrre imballaggi di legno (pallet) per i settori fondamentali (ma l’industria agro-alimentare e quella farmaceutica da anni usano prevalentemente pallet di plastica e imballaggi di cartone).

Peraltro, milioni di tronchi schiantati a causa dalla tempesta Vaia giacciono inutilizzati dal 2018, per cui non si comprende l’urgenza di riaprire la stagione dei tagli in maniera indiscriminata: in caso di necessità, potrebbe essere autorizzato dalle autorità il prelievo di questi tronchi invece di autorizzare il taglio selvaggio di nuovi alberi.

Le associazioni dei tagliatori di alberi non stanno chiedendo solo di violare la quarantena (a cui sono sottoposte tutte le aziende che operano in settori non necessari), ma anche di poter violare le norme europee ed italiane che vietano i tagli dei boschi di latifoglie quando la primavera è ormai giunta e la natura sta rifiorendo.

L’assalto alle foreste è dannosissimo, con buona pace dei sostenitori della biomassa, che si spacciano per “green” ed amici dell’ambiente. Bruciare il legno, come affermano numerosi autorevoli studi, provoca maggiori emissioni di CO2 (quindi è dannoso per il cambiamento climatico) e di polveri sottili (quindi provoca inquinamento).

Siamo in piena emergenza Covid-19, e stanno arrivando i primi studi che dimostrano una correlazione tra diffusione della pandemia e livello di inquinamento (tra i tanti, si citano quello dei ricercatori dell’Università di Siena e della Aarhus University dal titolo Can atmospheric pollution be considered a co-factor in extremely high level of SARS-CoV-2 lethality in Northern Italy? pubblicato in data 4/4/20 e quello dell’Università di Harvard dal titolo Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States pubblicato il 5/4/20), per cui autorizzare il taglio di alberi è un suicidio.

Senza dimenticare che, secondo i dati forniti dall’Agenzia europea dell’ambiente nel report “Air Quality in Europe” incrociati con i dati forniti dall’Ispra, oltre 20.000 morti premature in Italia sono dovute alle combustioni di tutte le biomasse legnose. Taglialegna, fateci un favore: state a casa.

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