Le due parole più comuni che si trovano nelle notizie sono pandemia e recessione mondiale. Due parole che descrivono eventi che in passato hanno causato il crollo di intere civiltà. Ciò che temiamo oggi è proprio questo, un finale apocalittico della nostra società, tra le più avanzate della storia dell’uomo. Ma questa volta è diverso: il Covid-19 non ci distruggerà. Fino ad ora la lezione della storia ci ha guidato permettendoci di evitare la catastrofe. Una catastrofe causata dal nostro folle desiderio di onnipotenza, di schiavizzare la natura e di sconfiggere la morte. Ma non siamo ancora in salvo, tutto dipende da come ci comporteremo quando la pandemia se ne sarà andata e si potrà tornare alla cosiddetta normalità.

In passato, a gettare i semi della distruzione sono stati modernità, “progresso”, tecnologia e arroganza umana. Questa volta non è diverso: le cause profonde della pandemia e il possibile collasso dell’economia globalizzata derivano dall’industrializzazione incontrollabile e dalla selvaggia tempesta di modernità che ha distrutto il delicato equilibrio degli ecosistemi in alcune regioni del mondo. Una crescita senza precedenti della popolazione mondiale, grazie alla medicina moderna, ha anche trasformato la nostra specie in una sorta di cancro della natura: siamo troppi, consumiamo troppo e distruggiamo le risorse più velocemente di quanto possano riprodursi.

La prima volta che il lato oscuro della modernità ci ha colpito è stato agli albori della civiltà, nella transizione dal Paleolitico al Neolitico intorno al 10.000 – 8.000 a.C. Alla società di cacciatori-raccoglitori – egalitaria, tribale e basata su un’economia di sussistenza – si sostituì una società agraria. La gente iniziò a coltivare il terreno e ad addomesticare gli animali, allo stesso tempo si cominciò ad accumulare scorte e venne introdotta la proprietà privata. Questa semplice transizione, resa possibile da scoperte tecnologiche come l’uso dei semi per piantare i raccolti e l’utilizzo degli animali domestici in agricoltura produsse anche le prime disuguaglianze di ricchezza.

Il Neolitico fu anche caratterizzato dalla nascita di villaggi, dove la gente viveva a stretto contatto, alcuni centri arrivarono ad avere una popolazione di 20.000 abitanti. I ricchi usavano i poveri come forza lavoro. Quando arrivava la carestia, i primi sopravvivevano grazie alle scorte ed i secondi morivano di fame. Quando scoppiava la guerra, i poveri la combattevano ed i ricchi la sovvenzionavano. Il ciclo di vita e di morte del Neolitico era dunque basato sulla ricchezza e non più sulla natura come avveniva nel Paleolitico.

Il nuovo stile di vita portò carestia e nuove malattie, spesso causate dalla vicinanza degli esseri umani con gli animali. Tuttavia, il progresso e la modernità fecero crescere la popolazione in quanto erano più facilmente disponibili cibi nutrienti. Poi, intorno al 6.000 – 5.000 a.C., la popolazione dell’Europa subì una caduta improvvisa e, fino a pochi anni’ fa misteriosa, al punto che si rischiò l’estinzione in tutto il continente. Questo periodo è noto come declino del Neolitico.

Nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo fino al 2015 quando in un’antica tomba in Svezia, gli archeologi scoprirono il corpo di una donna della fine del Neolitico che era morta a causa del più antico ceppo del batterio mortale che ha ucciso centinaia di milioni di persone nel corso dei millenni, la Yersinia pestis, comunemente noto come il batterio della peste. La donna era morta a causa della versione più antica del genoma della peste, la madre di tutte le future pestilenze.

Oggi sappiamo che ciò che ha quasi spazzato via la popolazione europea è stata una pandemia che si è diffusa in tutto il vecchio continente come un incendio grazie ai legami commerciali della popolazione neolitica in Europa, il primo esperimento di globalizzazione. Come facciamo a saperlo? La donna svedese viveva in una piccola comunità agricola, lontana dal centro del mondo neolitico dove scoppiò la pesta. La peste prospera in ambienti in cui grandi gruppi di persone vivono in spazi ristretti, condividono lo spazio con gli animali e il cibo immagazzinato e si riscontrano cattive condizioni sanitarie.

Dagli insediamenti neolitici più importanti la peste si diresse verso il piccolo villaggio agricolo svedese grazie a una vasta rete commerciale resa possibile dall’espansione dei carri trainati da animali. Così la malattia si diffuse lungo le rotte commerciali in tutto il continente e molto probabilmente causò il declino del Neolitico. Bisognerà aspettare fino al 2.500 a.C. affinché queste regioni vengano ripopolate dalle migrazioni provenienti dall’Asia centrale.

La peste del quattordicesimo secolo, nota come la morte nera, fu ugualmente tremenda, uccise un terzo della popolazione europea e causò il collasso del sistema economico basato sulla servitù della gleba. I baroni dovettero pagare per far coltivare la loro terra e, con una riserva di lavoro drasticamente ridotta, i braccianti agricoli ricevettero salari più alti. Il declino della popolazione spinse la ricerca tecnologica al fine di migliorare la produttività del lavoro, tra le invenzioni c’è l’aratro pesante. La produzione divenne più flessibile, innovativa ed efficiente.

La peste causò una rivoluzione in tutti i campi, dall’agricoltura all’economia alla tecnologia e alla vita sociale. Poiché la popolazione crollò le risorse non scarseggiarono più. Soprattutto, la peste dette vita ad una ridistribuzione della ricchezza che ha arricchito la società europea e portato a una maggiore alfabetizzazione, scolarità e progresso. Ciò ha reso possibile l’ascesa di una nuova classe sociale, quella che oggi chiamiamo classe media.

Sembra che esista una relazione intima tra pandemie, progresso e modernità. Nel corso della storia questi fenomeni si sono nutriti a vicenda, segnando grandi e traumatici cambiamenti nello sviluppo umano. Quando le società non possono adattarsi alla distruzione delle pandemie, collassano, ma è anche vero che quando una società collassa, può riprendersi e prosperare. Questa è la lezione di storia che stiamo imparando di nuovo oggi. E come sempre questo ciclo si svolge sullo sfondo di inimmaginabili tragedie umane.

È però improbabile che la nostra civiltà crollerà a causa di Covid-19. Oggi abbiamo gli strumenti, le conoscenze, la tecnologia e la comprensione per sopravvivere. Abbiamo anche compassione per le sofferenze umane. Prima di tutto, ci stiamo adattando: in tutto il mondo, le persone hanno accettato le raccomandazioni dei loro leader. Democrazie, dittature, società comuniste e di libero mercato hanno tutti abbandonato il loro stile di vita quotidiano e accettato di rintanarsi in casa. Questa è una prova notevole della nostra maturità come specie.

In secondo luogo, lo stato sta impedendo l’inevitabile collasso dell’economia, inondando le persone di denaro, permettendo loro di pagare l’affitto, comprare cibo e vestire le loro famiglie. Anche questo è senza precedenti. Durante la Grande Depressione ci volle quasi un decennio per mettere in atto il New Deal, a quel punto gli Stati Uniti erano precipitati nella profonda povertà. Oggi le nazioni resistono alla tentazione di introdurre misure protezioniste come hanno fatto dopo il crollo del 1929, che ha ampliato la recessione. In terzo luogo, la medicina moderna sta lavorando all’unisono, le nazioni condividono informazioni, scoperte e cure. Troveremo il vaccino, è solo una questione di tempo.

Il coronavirus non ci sconfiggerà, ma ciò che potrebbe far crollare la nostra civiltà è come ci comporteremo dopo la pandemia. Se torniamo alla vita che stavamo conducendo fino a dicembre 2019 – il consumo costante come se le risorse fossero davvero infinite – un altro virus molto più forte e più sinistro comparirà, e questa volta potrebbe essere l’ultimo.

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Coronavirus, la via svedese al contenimento: la seconda ondata sarà la prova del nove

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