Il tonfo dell’occupazione negli Stati Uniti in marzo implica un aumento del tasso di disoccupazione dal 3,5% al 12% e rivela un crollo inconcepibile dell’economia globale. C’è il rischio che esso degeneri in una cascata di crisi diverse: finanziaria, sociale, migratoria, politica, ecc. Il Covid-19 sta lanciando all’umanità una sfida di sistema: dipende da noi. Occorrono nervi saldi e lucidità.

I governi hanno di fronte scelte difficili: prima fra tutte quella fra salute ed economia. Si son visti bene in Lombardia le conseguenze della scelta errata, a fine febbraio, di dare priorità all’economia. “Riapriamo tutto quello che c’è da riaprire” (Salvini), “Milanonsiferma” (Sala), «Le parole di Sala sono giuste e condivisibili. Riaprire…!» (Franceschini), “Non perdiamo le nostre abitudini… usciamo a bere… a mangiare…” (Zingaretti). Anche i leader più cauti hanno mostrato di non avere le idee chiare: “Se il coronavirus è un pericolo grave, la risposta deve essere ferma, seria, coerente. Se il coronavirus è una influenza importante, allora bastano semplici misure di contenimento” (Meloni). Politici, giornalisti, anchormen, tuttologi, dopo aver criticato “l’allarmismo”, attaccano ora “il senno di poi”, spiegano che “Siamo in un terreno inesplorato” (Scanzi), “Normale avanzare a tentoni” (Carofiglio), “Non è il momento di criticare” (Mentana 3/4/20), “Non avremmo mai pensato… di questi tempi, di vedere … file … di bare di nostri concittadini” (Conte). L’Italia non è esattamente un Paese meritocratico: se vuole salvarsi deve capire che i fenomeni in corso sono già (stati) studiati; i governi non devono decidere al buio.

Epidemiologi ed economisti hanno sempre insistito che il trade-off fra salute ed economia è, nel breve termine, una falsa alternativa: non c’è ripresa economica possibile finché l’epidemia imperversa. Alla base di questo punto di vista ci sono teorie, modelli, e analisi empiriche. Per esempio, all’inizio della pandemia “spagnola” del 1918, negli Usa, St. Louis e New York ordinarono tempestivamente il social distancing, mentre Buffalo e New Haven diedero priorità all’economia: alla fine ne uscirono molto peggio anche economicamente. Un secolo dopo, possiamo permetterci di sospendere l’attività economica per 2-3 mesi, per salvare centinaia di migliaia di vite umane, anche perché poi la ripresa sarà più rapida. Azzerare (quasi) i contagi è una condizione necessaria per tenere poi a bada il virus mentre lavoriamo. Il crollo temporaneo della produzione non deve preoccupare; è il segnale che la quarantena funziona. Il conto da pagare sarà alto, ed anche su questo punto è cruciale, per le sorti dell’Italia, che il governo abbia le idee chiare.

Quali sono, dunque, le priorità della politica economica? Per sostenere sia l’offerta che la domanda, la priorità numero 1 è rafforzare, prima della riapertura, il servizio sanitario nazionale: non solo la capacità di cura, ma soprattutto quella di soffocare i ritorni del virus. La “spagnola”, per esempio, colpì in tre grandi ondate, e la prima non fu la più letale. Oggi, diversi paesi asiatici (Singapore, Corea, Giappone) sono già alle prese con la seconda e la terza ondata. In Italia, i diversi sviluppi epidemici in Lombardia e Veneto hanno mostrato la superiorità di strategie basate su un ampio uso dei test per individuare e isolare i positivi asintomatici.

Dopo la “riapertura”, per mantenere il parametro R0 (numero dei contagiati da ogni persona infetta) sotto la soglia critica (< 1), dovremmo sottoporre a test ogni giorno almeno il 3-4% della popolazione (in funzione del grado di abbattimento della pandemia). Ciò significa effettuare 2.000.000 test al giorno, rilevando sia i contagi sia chi è immune (a fronte degli oltre 50.000 tamponi effettuati l’8/4/2020). Non siamo ancora in grado di fare tanti test; ma possiamo investire su questo e riuscirci in 45 giorni. Se ogni test costasse 20 euro, la spesa annuale sarebbe di 15,3 miliardi (0,9% del Pil); e i costi stanno scendendo, mentre precisione, rapidità, e facilità d’uso salgono.

I test devono essere mirati su chi ha maggiori probabilità di essere infetto e di infettare: il personale sanitario (ogni 2 giorni), i contatti degli infetti, i lavoratori essenziali, chi sta per tornare al lavoro, i gruppi a rischio, le zone più infette, chi ha sintomi lievi, chi chiede un test. Si potrebbe creare un sito dove ciascuno descrive la sua situazione e riceve un numero di priorità. Lo scopo dei tamponi è isolare molto velocemente e rigorosamente i positivi asintomatici individuati: investendo nella sanità on-line, a domicilio, usando le scuole come ricoveri di isolamento collettivo.

Altri modi per abbassare R(0) sono l’uso generalizzato delle mascherine (ed altre barriere), il telelavoro, il social distancing volontario (promosso da spot TV), incentivato, o parzialmente coatto: alcune attività (ristoranti, piscine, palestre, spiagge) potrebbero essere riservate a chi ha un test (negativo) nelle ultime 52 ore: creerebbe una turnazione delle uscite; e incentiverebbe la domanda di test, che lo Stato potrebbe far pagare 1-10 eu. (in base all’ISEE), recuperando 2 Mld. L’obiettivo è sostituire la chiusura generale con quarantene selettive. Oneroso? Dare i soldi alle imprese è sicuramente più popolare, ma ogni mese in più di #iorestoacasa costa 52 mld.

La seconda priorità è dal lato della domanda: sono gli indigenti. In Poverty and Famines (1981), Amartya Sen dimostra che la causa principale di morte in una carestia non è l’assenza di cibo, bensì la sua distribuzione iniqua, causata dalle forti diseguaglianze e dagli accaparramenti. Per fortuna il volontariato da noi si sta facendo carico del problema. E nelle nostre città non è raro incontrare buste di plastica appese, o scatoloni, con un cartello: “Chi ha metta chi non ha prenda”. Lo Stato, da parte sua, deve rifinanziare i servizi sociali dei Comuni (costo: 5 mld).

La terza priorità è tutto il lato dell’offerta. Le banche centrali e i governi stanno cercando di evitare i fallimenti delle imprese. Le prime “iniettano liquidità” nel sistema bancario. I secondi incentivano le banche – con enormi garanzie pubbliche ‘fuori bilancio’ – a prestare la suddetta liquidità alle imprese, per pagare i costi fissi (bollette, mutui, affitti) in attesa della ripresa del flusso dei ricavi. Ma offrire liquidità è un invito a indebitarsi: e c’è un limite alla capacità di onorare i debiti. Perciò molti preferiscono chiudere, intimoriti anche dall’incertezza sul futuro andamento e struttura dei consumi. I governi perciò aggiungono dei trasferimenti a fondo perduto. È sufficiente? Non del tutto. Per esempio, una gelateria in Italia riceverà 600 euro per ogni mese di #iorestoacasa, a fronte di un affitto di 1.800 eu, e altri costi fissi (bolletta elettrica, commercialista, ecc.) per 500 eu.; durante la quarantena dovrà usare i risparmi. A differenza di un bar, potrà almeno tentare di consegnare a domicilio i suoi prodotti, grazie a app quali Glovo o Just-eat.

La quarta priorità, nel momento della “riapertura”, sarà stimolare la domanda aggregata. È probabile che la gente riduca gli acquisti fino al 20% rispetto al periodo pre-crisi: è quanto sta accadendo in Cina. Ciò lascerebbe nuovamente alle imprese ricavi insufficienti, provocando un’ondata di fallimenti. Come sostenere i consumi? Con una credibile lotta alla pandemia, alla povertà, con l’occupazione generata da investimenti pubblici, con acquisti diretti sul mercato di prodotti italiani.

Il costo delle prime tre priorità sarà dell’ordine dei 120 mld. Il costo della quarta priorità dipende dalle aspettative, cioè da come si fanno le cose. Come finanziare il tutto? Gli euro-bonds sono una soluzione? Appunto: no! Come il Mes, ci accompagnerebbero nel baratro (lo spiego altrove).

Il governo ha sbagliato una volta, quando ha sottovalutato la pandemia. Ha sbagliato una seconda volta, non assicurando sui mercati finanziari le entrate fiscali. Sta sbagliando una terza volta, proponendo in Ue una falsa soluzione. Siamo sicuri che, mentre siamo chiusi in casa, non stia sbagliando una quarta volta, non facendo gli investimenti necessari (priorità n.1) per una ripartenza sostenibile? Dicono: stiamo lavorando a un Piano: ma il Paese ha il diritto di sapere adesso. Perché il tempo della programmazione è scaduto, ora è tempo di implementare. Dicono: non è il momento di criticare, “poi” ci assumeremo le nostre responsabilità. Rispettosamente dissento: “dopo è tardi”. L’Italia è stata gravemente ferita dai primi due errori. Può ancora risollevarsi, ma solo se il governo non farà altri errori sistemici. Parliamone ora.

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