Gentilissima Michela Murgia,

a scriverle oggi non è un arrabbiato fan di Franco Battiato né un hater che non vedeva l’ora di poterla cogliere in fallo. A rivolgerle queste parole è un musicologo che, mentre tenta di ultimare la propria storia della popular music, si è voluto ritagliare un momento per rispondere, fra i tanti che già lo stanno facendo, alle parole da lei proferite in luogo di una video chiacchierata pubblicata sul suo canale YouTube qualche giorno fa.

Infatti, pur avendo in passato apprezzato diverse delle sue uscite e delle sue prese di posizione, e pur avendo già letto il suo commento chiarificatore – in luogo del quale dice di adorare Battiato e che le sue affermazioni non sono reali ma frutto di mera provocazione, cosa sulla quale è ben lecito beneficiare del dubbio vista la determinazione delle sue affermazioni e il sottotitolo pubblicato a commento del video – oggi devo, con rammarico, porgerle la seguente domanda: perché rendere pubblica quella che, restando in ambito privato, avrebbe potuto essere una semplice ma piacevole chiacchierata tra amiche?

Glielo chiedo per il seguente motivo: quando, da riconosciuti intellettuali, si ha l’ardire di parlare pubblicamente, con convinzione e piglio da esperti, di materie tanto complesse quali l’opera lirica e, perché no, l’opera di Franco Battiato (che non a caso è stata oggetto di decine di tesi di laurea oltre che dell’attenzione di eminenti studiosi) sarebbe il caso – non volendo dunque limitare certe chiacchierate al bar o, in tempi di quarantena, alla videochat privata – che lo si facesse con un certo livello di preparazione e il giusto bagaglio di conoscenze.

Non aver capito l’opera di un artista non vuol necessariamente dire che la stessa sia priva di spessore artistico e/o intellettuale: affermare che i testi di Battiato siano, e cito testualmente, “minchiate assolute” e “citazioni su citazioni senza nessun significato reale” non denuncia certo la pochezza dell’opera di Franco Battiato, il cui valore è unanimemente riconosciuto, ma semmai l’assoluta mancanza di una qualsiasi padronanza e conoscenza, da parte sua, di una materia di cui ha la pretesa di parlare con piglio da analista (è sempre lei, prima di aver bollato i testi del compositore siciliano come “minchiate assolute”, ad affermare di averne fatto un’analisi. Sarebbe interessante vedere i risultati di questa sua analisi, ma non pretendo troppo: Battiato ha pubblicato, tra discografia leggera, lirica ed elettronica, più di 40 dischi, non oso immaginare quanto ampio e generoso possa essere questo suo lavoro analitico).

Prima di risponderle, proseguo oltre passando brevemente in rassegna solo alcune delle altre sue esternazioni che rischiano di passare alla storia come i celebri “bemolle” di Scalfari e la sua fantasiosa reinvenzione del catalogo chopiniano: “Prenditi tutta l’opera ottocentesca e trovami un testo dove il colpo di scena non sia la morte della protagonista”, afferma lei con assoluta convinzione. Ebbene, ha mai sentito parlare di Cavalleria rusticana? È del 1890 e a morire è il protagonista maschile.

Come Cavalleria rusticana molte altre opere ottocentesche (veda, a puro titolo esemplificativo, La straniera o I puritani) non affidano alla morte della protagonista femminile il colpo di scena o il finale, dunque la sua affermazione, alquanto perentoria, sembra essere priva di fondamento.

Tra le altre cose le opere da lei portate a suffragio della sua tesi sull’opera ottocentesca sono Tosca e Madama Butterfly, rispettivamente del 1900 e del 1904: tenta poi un affondo finale citando Turandot, la cui prima assoluta però è addirittura del 1926. Per carità, ben poca cosa rispetto alle affermazioni di cui sopra, ma una maggiore aderenza temporale le avrebbe di certo giovato.

Come se non bastasse suggella il tutto con un’altra di quelle affermazioni che potrebbero facilmente restare negli annali: “Da Ponte e Mozart sono i Battisti e Mogol del Settecento”, cosa sulla quale mi esimerò dal commentare.

Non indugiando oltre sull’opera, nonostante vi fossero diverse altre cose sulle quali sarebbe stato il caso di soffermarsi, torniamo ora, in conclusione, al tanto vituperato Franco Battiato: carissima Murgia, ha mai dato un’occhiata ai testi, in ordine sparso e fra gli altri, di Georges Ivanovitch Gurdjieff, Peter Demianovich Ouspensky, René Guénon e Jalal ad-Din Rumi? Ha mai approfondito materie e oggetti di studio, fra gli altri, come la fisiognomica, l’evoluzione interiore dell’uomo, la reincarnazione, il sufismo e il buddismo tibetano?

Non la faccio lunga, anche perché non ne ho lo spazio, ma le consiglio, qualora volesse sinceramente rimediare alle più che evidenti lacune alla base del suo giudizio ingenerosamente sprezzante su Battiato e qualora non avesse il tempo di sobbarcarsi la lettura di centinaia o migliaia di pagine degli interi volumi costituenti l’apparato teorico-filosofico a cui fa riferimento l’intera opera del musicista siciliano, la lettura di alcuni miei articoli, aventi a oggetto, manco a farlo apposta, il significato dei testi delle canzoni di Battiato.

Scoprirà che quelle che a suo dire sono nulla più che suggestioni buttate lì a casaccio fanno in realtà parte di un disegno preciso, geometrico, artistico appunto, quello di un uomo che, stanco delle solite narrazioni da canzonetta leggera, ha avuto la geniale intuizione di immettere in un genere popolare, e dunque rivolgere a milioni di persone, ordini di conoscenze superiori.

Scoprirà, ad esempio, che “La voce del padrone” cela un significato esoterico, che in Segnali di vita Battiato fa riferimento al “pensiero automatico, o appunto associativo”, che “pregna tutta la psicologia gurdjieffiana”, che le segretarie di Frammenti sono figure utilizzate sempre da Gurdjieff “per descrivere l’apparato formatore, una parte dell’essere umano che il filosofo armeno paragona a un ufficio”, che, ancora, “Il ‘cercare l’uno al di sopra del bene e del male’ è concetto direttamente riferibile all’idea, di chiara matrice mistica, che l’essere umano debba, per realizzarsi, superare la condizione di dualità nella quale vive”.

Perché vede, cara Murgia, Franco Battiato merita “tutto il rispetto che è d’obbligo tributare a chi, con la propria opera, ha portato milioni di persone a porsi domande pregne di senso, di sostanza, specie in un’epoca non particolarmente votata alla ricerca del giusto, del vero, del reale”. Perché è un essere speciale, ed è indispensabile avere cura di lui.

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