La moneta di Stato potrebbe essere l’uovo di Colombo in grado di toglierci dalle ambasce di una crisi epocale? Come minimo, è un argomento di cui si può cominciare finalmente a discutere senza tabù. L’argine è rotto, per lo meno da quando l’idea dei “biglietti di Stato”, o “Stato-note” che dir si voglia, è sdoganata ai massimi livelli sia dell’economia che del diritto. Dopo l’endorsement del Premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz dell’anno scorso, l’ultima e più significativa “benedizione” è venuta dal Vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, in un’intervista del 22 marzo 2020.

L’insigne costituzionalista ha ovviamente ragione e ha avuto il merito di spendersi per un’idea che non sarebbe mai stata presa in esame in tempi “normali”. Non perché sbagliata, sul piano legale, ma perché contraria a un paradigma, granitico quanto errato, in materia di “sovranità monetaria”. Di tale paradigma, imbastito di luoghi comuni, sono vittime sia gli schieramenti europeisti che quelli sovranisti. Sulla base di questa mappa del mondo ci è stato raccontato, per anni, che abbiamo “perso la sovranità monetaria” e che, nell’Unione europea, “l’unica moneta possibile è l’euro”.

In realtà, una più attenta analisi delle norme vigenti smentisce questa tesi e conferma la posizione di Maddalena. Vediamo di spiegare il perché, partendo dall’articolo 128 del Trattato di Lisbona. Qui si parla di “moneta a corso legale” e si legge chiaramente che le “banconote” emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche aventi corso legale nell’Unione. Il riferimento è, appunto, alle “banconote”, non ai “biglietti di Stato”.

Trattasi di due fattispecie di “monetazione” differenti, se non addirittura antitetiche. Le banconote vengono tipicamente emesse da una Banca Centrale che le genera e le mette in circolazione iscrivendole al passivo del proprio bilancio. E inserendo all’attivo degli asset (in genere, titoli di Stato) ricevuti in contropartita dalle banche destinatarie del “prestito”. Il tutto secondo la logica della partita doppia propria del modello monetario “bancocentrico”.

I “biglietti di Stato” sono invece moneta emessa – lo dice la parola – “dallo Stato”. A tal proposito, è alla Repubblica – troppi lo dimenticano – che l’articolo 117 della Costituzione riserva la potestà legislativa in materia di moneta. Il che fa il paio con un’altra elementare constatazione. L’Italia, ai sensi dell’art. 11 della Suprema Carta, non ha mai “ceduto” – non avrebbe potuto farlo! – la propria sovranità monetaria. Ha, semmai, “limitato” l’esercizio di tale sovranità con precipuo e circoscritto riferimento a quella peculiare forma di valuta “bancocentrica” che è l’euro. Non a caso, ai sensi dell’articolo 3 di Maastricht, alla Ue spetta l’esclusiva in materia di “politica monetaria” solo con riferimento alla moneta “euro”.

Alla luce di un tanto, lo Stato è già ora nelle condizioni di emettere una moneta sotto forma di “biglietti di Stato”. Essi potrebbero rappresentare un mezzo di pagamento alternativo e complementare rispetto all’euro: volendo, anche “non” necessariamente a corso legale, bensì a circolazione fiduciaria e volontaria, entro il territorio nazionale; e tuttavia accettato dallo Stato per il pagamento delle imposte.

In verità, ai nuovi “biglietti di Stato” potrebbe “anche” essere conferita la connotazione di “moneta a corso legale”, cioè ad accettazione obbligatoria. Ciò non violerebbe l’articolo 128 del Tfue che – con riferimento al corso legale – parla, come anzidetto, di esclusiva della Bce sulla emissione delle “banconote”. Non sono, insomma, ammesse nell’eurozona “banconote” in altra moneta diversa dall’euro. Ma con ciò è fatta indubitabilmente salva la prerogativa statale di emettere “Stato-note” in forza dell’articolo 117 della Suprema Carta.

I “biglietti di Stato”, tra l’altro, sorgono fin dal principio, come “moneta positiva” non qualificabile come debito pubblico. Andrebbero, cioè, inseriti all’attivo del bilancio dello Stato. Lo conferma un paper del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 2016, meritoriamente individuato e segnalato dallo studioso di economia e finanza Stefano Di Francesco. Vi si legge testualmente: “Le attività finanziarie, quali risultano dalla nuova classificazione, comprendono quelle monetarie come la cassa (biglietti e monete)”.

Per concludere, oggi finalmente sta diventando una percezione diffusa il fatto che lo Stato italiano possa tornare a “stampare moneta”. Un’opzione, su cui tanti discettano pro o contro e spesso a vanvera, ha invece solide basi giuridiche. Che poi si tratti di una soluzione opportuna sarà la politica a deciderlo. E che si tratti anche di una soluzione vantaggiosa sarà la storia a raccontarlo. Se deve succedere, speriamo che accada in modo consapevole, rapido e ragionato. E prima che sia la spinta dell’emergenza – in un futuro ormai alle porte – a imporcelo.

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