Diciamo la verità: in Italia, specialmente nel settore della tutela ambientale, le emergenze sono state molto spesso utilizzate per eludere la legge con deroghe, proroghe e normative di favore. Alcune Regioni hanno addirittura legittimato per anni, con ordinanze contingibili e urgenti emanate in nome di una emergenza rifiuti dovuta solo al loro immobilismo, il mantenimento di immonde discariche contrastanti con tutte le leggi italiane e comunitarie.

Oggi siamo nel pieno della emergenza Covid-19 e già si ravvisano segnali preoccupanti sempre in tema di rifiuti urbani. Mentre, infatti, è del tutto giustificato che ci si preoccupi, anche con norme speciali e derogatorie, dello smaltimento di rifiuti urbani potenzialmente infetti provenienti da soggetti positivi al virus (o presunti tali) non ospedalizzati ma confinati in casa, qualche perplessità sorge se si legge la recentissima circolare emanata dal ministero dell’Ambiente sul tema “criticità nella gestione dei rifiuti per effetto dell’emergenza Covid-19 – indicazioni”, dove, in sostanza, si suggerisce alle Regioni e ai Comuni di ricorrere ad ordinanze contingibili e urgenti per consentire, in deroga alle autorizzazioni, di aumentare in modo spropositato la durata e le quantità di rifiuti che possono essere temporaneamente stoccati e depositati in attesa di recupero o smaltimento; e di aumentare al massimo, sempre in deroga alle autorizzazioni rilasciate, le capacità di smaltimento degli inceneritori e delle discariche esistenti.

In realtà, infatti, non sembra che queste deroghe abbiano molto a che vedere con l’emergenza Covid. Perché l’emergenza Covid ha solo fatto emergere anticipatamente un nodo che già stava pesantemente condizionando tutto il settore; quello, cioè, relativo alla preesistente e crescente difficoltà di alcune filiere del recupero e del riciclo di determinate frazioni di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata urbana a trovare una collocazione, a causa della scarsa qualità della raccolta che spesso non è affatto differenziata.

Soprattutto per la plastica, l’acciaio e il legno, ossia quei materiali che, come riciclato, trovano poca o nulla applicazione nel comparto dell’imballaggio, mentre carta e vetro, essendo molto utilizzati per la produzione di imballaggi alimentari, la cui richiesta a seguito dell’emergenza è cresciuta, registrano paradossalmente proprio in questa fase delicata una ripresa della domanda.

Già prima dell’emergenza Covid, del resto, circa il 50% della plastica proveniente dalla raccolta differenziata non poteva andare a riciclo e finiva (nella migliore delle ipotesi) in discariche, termovalorizzatori e cementifici; oppure sempre più spesso in paesi esteri di scarsissima affidabilità e sprovvisti di seri apparati di controllo.

Oggi, con l’emergenza Covid, nessuno di questi paesi vuole più ricevere rifiuti dall’Italia e così sta emergendo la vera natura dell’economia circolare all’italiana dove si dice che si ricicla tutto o quasi ma, se ci vietano le esportazioni di rifiuti, tutto ci ricade addosso.

Non a caso, è lo stesso ministero dell’Ambiente nella sua circolare a premettere che l’emergenza Covid deriva dalla “impossibilità di inviare i rifiuti prodotti verso altri Stati”. E non a caso la sua circolare deriva dalla precisa richiesta del Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica) di intervenire perché “il principale problema operativo, al momento, riguarda la gestione degli scarti non riciclabili prodotti dai Centri di selezione (il cosiddetto Plasmix) essendo venuti meno, pressoché subitaneamente, rilevanti sbocchi sia italiani che esteri”.

E così oggi, autorizzando deroghe e proroghe in un settore delicatissimo quale quello dei rifiuti, rischiamo gravissimi pericoli per l’ambiente ben poco attribuibili alla emergenza Covid ma dovuti soprattutto all’incancrenirsi di una situazione già nota da tempo e più volte evidenziata da roghi tossici, incendi di impianti di rifiuti, discariche abusive, spesso mascherate come utilizzo di fertilizzanti e fanghi per l’agricoltura. E’ questa la vera emergenza. Ma non sembra che il ministero dell’Ambiente se ne sia accorto.

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