di Davide Trotta

A fronte della sospensione della partite di calcio c’è chi ancora continua a giocare. “Nessuno deve essere in sosta, in panchina o a bordo campo”, si legge nella chiosa alla circolare ministeriale del comparto scuola vergata da Marco Bruschi.

Lieti per la convocazione nella nazionale della Scuola italiana, tutti vogliamo giocare questa partita dal primo all’ultimo minuto, compresi i minuti di recupero, ricordandoci però che la nostra “nazionale” docente è colma di “panchinari”, che da tanto tempo scalpitano per giocare la propria partita dietro a una cattedra non da precari.

Il riferimento panchinaro forse sarebbe stato più opportuno a inquadrare la situazione contrattuale di migliaia di docenti precari, non già a muovere allusioni sul senso del dovere di una categoria di lavoratori alle prese con uno degli esercizi più ardui per spirito di adattamento e di sopravvivenza al mutare dei tempi e delle generazioni studentesche.

Un’altra sfida ardua ci attende ora con la didattica a distanza in una situazione imprevista che porta a misurarsi con una cultura digitale che in ambito scolastico italiano accusa ritardi notevoli, ma i docenti, panchinari o no, stanno mostrando di giocarsi alla grande anche questa partita. La quale tuttavia presenta le consuete criticità concernenti le modalità: la predicata libertà di insegnamento mal si concilia con il tentativo, mai troppo celato, di imporre la didattica attraverso lezioni on-line, uniformando così su un’unica modalità quanto nella pratica consueta è affidato alla varietà di forme e idee del singolo docente.

La tesi ministeriale, nel lanciare ragionevolmente il messaggio di non lasciare indietro nessuno studente e di creare un ambiente di apprendimento confortevole sul divano di casa, sembra dare per scontata la priorità di creare anzitutto un ambiente sicuro a scuola in situazioni di normalità, senza pericoli di crollo di soffitti in classe o senza che studenti e docenti dei corsi serali talora vedano pendere stalattiti dal loro naso per il freddo.

Altrimenti si conferma quanto emergeva da un’inchiesta pubblicata on-line su L’Espresso nel 2015, secondo cui quasi 700 milioni l’anno di denaro pubblico verrebbero dirottati sugli istituti privati. E ancora: nell’amorevole cura degli studenti Dsa, Bes e con disturbi via via più gravi, sembra essere data per scontata la presenza di un personale specializzato e qualificato anche nell’ordinaria amministrazione, ove è noto l’impiego di docenti, sì, volenterosi, ma che col sostegno poco o nulla hanno a che fare.

Altra questione su cui vale la pena riflettere è quella riguardante la valutazione, richiesta dalla circolare suddetta, che tradisce una radicata propensione al “giudizio” a oltranza, anche a costo di scontrarsi con una realtà che forse ora come ora non lo rende così necessario o forse utile, anche a voler confidare nella buona fede degli studenti, tentati inevitabilmente dal dare qualche sbirciata qua e là per risolvere il compito a casa in solitaria.

L’emergenza Coronavirus non deve diventare una di quelle occasioni in cui si fa una bella presentazione di un centro sportivo o di un ospedale sotto i riflettori che, a luce spenta, cesseranno di illuminare per sempre quella struttura; semmai dovrebbe essere, nella peggiore delle iatture capitate, un’opportunità per riflettere su fragilità e contraddizioni di un sistema spesso ignorate in situazioni di normalità (penso per esempio ai tagli grotteschi sulla sanità), non necessariamente per negligenza o incompetenza di chi prende decisioni ma perché l’equo corso delle cose talora impedisce di vederne a fondo le frastagliature.

E ancora: non lasciare indietro nessuno studente, priorità inderogabile di noi servitori dello Stato, dovrebbe procedere di pari passo col non lasciare indietro neppure nessun docente. Altrimenti la Scuola rischia di dare l’idea di essere volta a compiacere famiglie e utenza, tralasciando chi opera all’interno. Siamo veramente sicuri che tutti i docenti, da Trieste in giù, possiedano tecnologia e anche competenze digitali richieste da questa emergenza? E anche il possesso, per altro diffuso, di queste competenze non dovrebbe precludere a nessun docente di privilegiare altre modalità da lui ritenute adeguate, a meno che non si voglia approfittare di una situazione di scompaginamento storico per imporre qualcosa già previsto e incardinarlo per il futuro, pippa e mosca, nella nostra didattica.

Da ultimo una Scuola che proceda compatta e unita, senza lasciare nessuno indietro, nemmeno avrebbe dovuto lasciare fino a pochi giorni fa sul campo di battaglia il personale Ata, esposto a un lavoro forse non così necessario in quel momento, a parte gli iniziali giorni di disinfezione. Ma almeno potremo dire che nessuno è rimasto, borraccia in mano, a sciacquarsi la bocca a bordo campo.

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Sono le Venti (Nove), come cambia la didattica con la scuola a distanza. Genitori: “Siamo come supplenti”. Docenti: “Nuovo modo di insegnare”

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