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di Fabio Coglitore

Inizio marzo 2020: il numero di casi di coronavirus esplode in Italia e il governo vara dei decreti d’urgenza. La Svizzera assiste con distacco e noncuranza alla situazione italiana, quasi come se il momento drammatico fosse un fatto locale, lontano, trascurabile.

Intanto vengono segnalati i primi casi nella Confederazione. Reazione pacata, qualche articolo generico, misure sanitarie adottate pari a zero, se non fosse per una blanda campagna pubblicitaria sull’igiene delle mani.

Settimana appena conclusa: si passa improvvisamente dai 300 ai 1500 casi confermati, le scuole e i luoghi di spettacolo e intrattenimento vengono chiusi, ristoranti e bar ancora aperti.

I cittadini svizzeri si svegliano da un lungo letargo, vogliono sapere, prendono d’assalto i supermercati per fare provviste e le farmacie per acquistare gli introvabili gel disinfettanti e mascherine (ricorda qualcosa?).

Ebbene sì, sono un infermiere in prima linea nella grande emergenza sanitaria mondiale, con tutti i rischi del caso. Ma sapete una cosa? L’orgoglio per la bellissima reazione morale del mio popolo (e i messaggi che ogni giorno ricevo da amici e familiari) mi fanno pensare che, alla fine, #andràtuttobene.

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