Era ora! Il governo batte un colpo: appoggio totalmente le misure annunciate. C’è solo da chiedersi perché hanno aspettato finora. Nel Decreto del governo emergono due linee strategiche.

1. Primo, le nuove regole valgono per tutta l’Italia. Finalmente si riconosce che l’intero Paese, non tre regioni, è a rischio epidemiologico. Un rischio grave e imminente: il massimo dei contagi avverrà da adesso alla fine di aprile.

Nel grafico, la linea colorata rappresenta il numero totale di casi di Covid-19 fuori dalla Cina dal 20 gennaio al 2 marzo. Interpolando i dati con la funzione esponenziale indicata, e proiettando la funzione nel futuro, si prevedono, al 31 marzo, 670mila casi (di cui 47.000 già guariti o deceduti); e al 15 aprile, 6,3 milioni. Naturalmente, si possono fare moltissime ipotesi per modificare queste proiezioni; tuttavia, la funzione di interpolazione che utilizzo prudentemente sottostima la rapidità della diffusione futura del contagio; nel grafico, infatti, la linea nera a destra è sotto la linea colorata.

Fine marzo è anche il momento in cui – estrapolando l’andamento attuale – l’Italia potrebbe superare la soglia dei 55mila casi, di cui 5.500 gravi e bisognosi di terapia intensiva e ventilatore polmonare. Per far fronte, il Ssn dispone, in proprio o presso strutture private convenzionate, di poco più di 5000 posti di terapia intensiva, e di circa 600 ventilatori, peraltro già parzialmente occupati da altri malati. Quello è il periodo in cui potrebbe iniziare la crisi umanitaria (il picco potrebbe essere nella seconda metà di aprile).

Ne sarà protagonista chi s’infetta da questa settimana. Per questo il governo dovrebbe varare subito il suo Decreto, ma la gente dovrebbe anticipare il governo, e andare ben oltre le indicazioni ufficiali. Bisogna riuscire a piegare quella maledetta curva.

2. Secondo, i provvedimenti del governo sono selettivi. Ovvero: si riconosce che la salute dei cittadini ha la priorità, ma anche che l’economia è la seconda priorità. Perciò l’onere dei provvedimenti si concentra sulle attività culturali e ricreative, o comunque non essenziali per la produzione, perché hanno la maggiore concentrazione di rischio epidemico in rapporto al valore aggiunto. I virus non si fermeranno, ma rinviare e abbassare il picco di malati è cruciale.

Viceversa, – tra polemiche contro “l’allarmismo” e paragoni con l’influenza – il Paese è tuttora impreparato ad affrontare la crisi. Anche mentalmente. Non posso credere, ad esempio, che la Scala di Milano abbia deciso di chiudere solo fino all’11 marzo, solo perché un cantante ha il coronavirus: e gli spettatori? E il calcio: domenica voleva giocare. Non posso credere che si organizzino ancora feste, conviti, congressi. Non posso credere che medici e infermieri negli ospedali lavorino senza protezioni; che il Ssn solo da pochi giorni abbia cominciato a pensare che deve acquistare mascherine (che non si trovano più).

Non posso credere che il governo non abbia ancora varato un Piano di rafforzamento urgente del Ssn (tra le varie, servono kit per decentrare i test dei tamponi). Non posso credere che Conte, così presenzialista in tv, non si sia ancora rivolto ai cittadini in modo solenne, invitandoli tra l’altro a uscire di casa il meno possibile: spero lo faccia, stasera. In Corea il governo dice: “siamo in guerra”: allarmisti. Ma chiari: la Cina ha dimostrato che il virus si batte solo con una reazione unitaria e molto aggressiva.

Non posso credere che il ministro dell’Economia non abbia ancora chiesto all’Europa una grande iniziativa europea in difesa dell’economia della zona euro. Non posso credere che Christine Lagarde la settimana scorsa abbia dichiarato che la Banca centrale europea non può contribuire, perché il problema non riguarda l’inflazione (oggi la Bce si è, leggermente, corretta).

In Italia, le priorità del bilancio pubblico sono: il Ssn; il sostegno ai consumi (tramite investimenti e consumi pubblici; sicurezza dei posti di lavoro; indennità di disoccupazione; lotta alla povertà); la sanità nelle carceri. Gli interventi si possono finanziare a debito, ma anche tramite un utilizzo più mirato dei fondi pubblici. In emergenza tutto si può fare: anche far saltare Quota 100. Ci vuole solo un po’ di coraggio politico.

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