Biscottoni, “magliette sudate intrise di sacrifici”, giocatori “in fase embrionale”, pareri “a caldissimo” raccolti fuori dallo stadio. Sulla leccese Telerama va in onda un inatteso simposio platonico. Era meglio saperlo prima. Perché Kitikaka alla ricerca di vittime sacrificali ha incontrato all’improvviso Piazza Giallorossa. Un azzimato salotto salentino dove si disquisisce con naturale nonchalance delle sette pappine subite dal Lecce contro l’Atalanta. Una batosta che schianterebbe un bisonte. Anzi un settebello che ha già asfaltato senza appello il Torino. Eppure al cospetto di Alessandra Del Toro, la Federica Sciarelli del tacco giallorosso, tutto appare normale, ovvio, scontato. Quasi sette gol subiti son pochi.

L’Atalanta ne avesse fatti dieci ecco, forse, ci saremmo preoccupati. Sarà perché in studio c’è il mister Fabio Liverani che nel Simposio assume i toni e la gravità di un Socrate. Sarà perché c’è il Coronavirus in giro e bisogna tenere urla e incazzature per quando il Via del Mare servirà come triage. Ma l’approccio soft, filosoficamente dialettico, dignitosamente pompiere del cast di Piazza Giallorossa è una scelta talmente in antitesi rispetto ai plotoni d’esecuzione di una qualsiasi tv locale che vincerebbe il premio Lino Linguetta. La squadra “si chiude e si chiude bene”. “Anche nella sofferenza ha idee di gioco”. “Riesce a soffrire in modo diverso”. “Dopo sette gol in casa c’è stata una dimostrazione di grandissima sportività per la grandissima qualità dell’Atalanta”. Mancano giusto un tappeto srotolato attorno alle mura di Bergamo Alta, lo scalpo di Saponara esibito sulla Torre del Gombio e la capitolazione degli indomiti salentini sarebbe conclusa.

Eppure c’è qualcosa che va oltre rispetto alla deferenza verso la big di turno. Un approccio così poco passionale al calcio che ricorda le analisi dei fuorigioco di Raimondo Vianello a Pressing. Lo schema è quello a lungo provato in allenamento. Palla all’ospite e pedalare. Liverani viene coccolato come un panda. Mister lei meriterebbe l’olimpo del calcio. Mister lei è bravissimo. Mister mi frusti la prego perché non merito di essere qui al suo cospetto. Sette pere in saccoccia? Beh, potevano essere otto o anche nove. Pochi secondi ed è l’ora dell’analisi tattica. Le sequenze di gioco sono preparate con grande attenzione. I cerchietti e le linee tratteggiate per illustrare gli schemi sono puntuali e precisi. Solo che nonostante la terrificante sconfitta ecco “le grandi azioni del Lecce”. L’Atalanta segna una gragnuola di gol, ma a Piazza Giallorossa si vede il filmino di quando segnava Pasculli. Liverani mangia la foglia. Così ci tocca una lunga e articolata analisi dell’anticipo sull’attaccante e delle diagonali del difensore che ci fanno rimpiangere la lavagna con calamite di Sandro Ciotti alla DS. La sviolinata al mister che si è fatto asfaltare dalla quarta in classifica (ueh, ma è l’Atalanta) prosegue con un regalo dell’ottica Salomi (Liverani apre pure il pacchetto… mister, a caval donato non si guardano gli occhiali da sole!) e poi con un editoriale di Massimiliano Cassone.

Un Mughini del Salento che maneggia con puntuta eleganza le stanghette degli occhiali tra le mani, più attirato da diversi giri di purpu alla pignata che dai giri di campo per celebrare le vittorie del Lecce. Cassone rasenta la genuflessione papale elencando pregi (e nessun difetto) del mister, uno che “dribbla sassi”, che “non ha peli sulla lingua”, che “usa parole come picconate”. Liverani da par suo cerca di stare al gioco. A forza di lisciargli il pelo, il miagolio è da sentenza suprema: “I traguardi sono abituato ad arrivarci più che a commentarli”; “tutti portano punti alla squadra: i tifosi, lo staff tecnico, la gente”; “da dietro devi spingere”; “ho un difetto: se non incido più, anche in negativo (?), è un momento in cui faccio tante riflessioni”. Applausi, fuochi d’artificio, preghiere da inginocchiati modello La Mecca. E Cassone strappa l’ultima parola a difesa del mister del 2 a 7: “Un conto è la critica e un conto è l’offesa”.

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