I cognitivisti ritengono che gli esseri umani abbiano nella mente una mappa del mondo che utilizzano per fare previsioni, controllare e manipolare il proprio ambiente. La nostra serenità è quindi molto basata sulla prevedibilità delle cose che ci riguardano – sentimenti, reazioni personali – e che ci circondano – eventi esterni, reazioni degli altri agli eventi. Eventi che esulano in maniera significativa dalle previsioni sono in grado di stimolare forti reazioni emotive che possono sfociare in decisioni e comportamenti maldestri.

Il virus Sars-CoV19, con la sua velocità di diffusione, infrange il nostro bisogno di prevedibilità stimolando in noi sentimenti di incontrollabilità che sono l’anticamera del panico. L’emergenza emotiva, il panico, è un tentativo di mantenere nel cambiamento un senso di continuità, visto che l’esperienza di discontinuità data dall’imprevedibilità è molto perturbante.

Il panico è una condizione di emergenza e come tale non prevede riflessioni equilibrate ma spinge a soluzioni veloci, coerentemente con la valutazione del rischio più estremo, per trovarsi preparati alla peggiore delle ipotesi. E’ quello che sembra accadere in questi giorni, con la corsa ai rifornimenti alimentari e farmaceutici, senza valutazioni realistiche su quanto effettivamente queste azioni siano necessarie.

Peraltro il controllo portato all’eccesso ha di solito curiose conseguenze: rischia di condurre esattamente verso quelle eventualità che con il controllo si cercava di evitare, ma ha il pregio di offrire ad ognuno (l’illusione di) un senso di maggior controllo sulla situazione, perduto per l’imprevedibilità e l’incomprensibilità degli eventi. Ho sentito dire che un atteggiamento preventivo significativo con misure drastiche serve ad allontanare il rischio di fermare le attività produttive per l’epidemia influenzale e paradossalmente le attività rischiano di paralizzarsi per le misure stesse molto prima.

La capacità di valutare un pericolo è molto condizionato, oltre che dall’imprevedibilità degli eventi stessi, dallo stato psicologico in cui ci si trova, da quanto cioè il personale senso di fragilità, debolezza e vulnerabilità è già attivo per altri motivi e così le proprie capacità di assumere un punto di vista critico di fronte a ciò che accade. Situazioni attuali (dispiaceri sentimentali, insicurezze professionali…) o pregresse (sensibilità legata alla personale storia di vita…) potranno significativamente amplificare o moderare il livello di allarme e il personale grado di suggestionabilità.

La percepita pericolosità degli eventi dipende anche da quanto si percepiscono preoccupati gli altri, soprattutto quelli considerati significativi e affidabili. I canali di informazione hanno il loro peso in questo senso. Un’informazione attivante, sia come contenuti (diffusione del contagio, gravita del virus…) ma soprattutto come modalità – edizioni straordinarie di notiziari, monopolizzazione delle trasmissioni sul tema – mette in allarme su qualsiasi argomento. Meglio forse un’informazione più coordinata anche tra emittenti diverse, orientata più a fare informazione che a fare notizia.

Sforziamoci di costruire un punto di vista interno, critico, personale, in grado di valutare il più realisticamente possibile i rischi. Facciamolo esplorando, conoscendo, informandoci attraverso i canali ritenuti più accreditati e attendibili. Diamo la precedenza al contenuto dell’informazione, dati statistici, numeri e fatti, piuttosto che all’enfasi e alla massiccia quantità con cui questi vengono elargiti.

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