di Enzo Martino*

Non è andata delusa la grande attesa per la decisione del Comitato europeo dei diritti sociali sul “contratto a tutele crescenti” introdotto nell’ambito del Jobs Act. Il verdetto è molto netto: l’Italia ha violato la normativa comunitaria in materia di licenziamento illegittimo intimato agli assunti dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto legislativo che ha abolito l’articolo 18 per i nuovi contratti di lavoro).

Con decisione resa pubblica l’11 febbraio 2020, il Comitato di Strasburgo ha infatti pienamente accolto il ricorso presentato nel 2017 dalla Cgil, con il sostegno della Confederazione europea dei sindacati, nel quale si denunciava la violazione in particolare dell’art. 24 della Carta sociale europea (trattato internazionale ratificato dall’Italia che, insieme alla Convenzione europea dei diritti umani, assicura i diritti fondamentali ai cittadini dell’Unione).

Ricapitoliamo la questione. Con il Jobs Act e il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, in vigore dal 7 marzo 2015, il governo Renzi aveva sostanzialmente abrogato per tutti i nuovi assunti l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (e cioè la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo), sostituendolo con una modesta indennità risarcitoria: da un minimo di quattro a un massimo di 24 mensilità, agganciate semplicemente all’anzianità (due mensilità ogni anno di servizio).

L’indennità in questione era stata poi aumentata dal cosiddetto “Decreto dignità”, passando così a sei mensilità nel minimo e 36 nel massimo: misura del tutto insufficiente non soltanto perché non aveva rimesso la reintegrazione al centro del sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, ma anche dal punto di vista della mera adeguatezza economica.

Sul punto, si era pronunziata anche la Corte Costituzionale italiana, che era intervenuta con la sentenza n. 194 del 2018, riattribuendo al giudice il potere di stabilire il risarcimento ritenuto più congruo tra il minimo e il massimo di legge, in base a parametri anche diversi dalla mera anzianità di servizio. Ma anche questo intervento non è stato ritenuto sufficiente dal Comitato sociale europeo, il quale ha riscontrato una perdurante ed evidente violazione della Carta sociale, il cui art. 24 garantisce il diritto a una tutela effettiva e realmente dissuasiva a ogni lavoratore licenziato ingiustamente.

Il sistema sanzionatorio configurato dal Jobs Act, al contrario, escludendo a priori (salvo in rarissimi casi) la reintegrazione nel posto di lavoro e prevedendo comunque un tetto massimo al risarcimento dovuto al dipendente, è “tale da incoraggiare, o quantomeno a non dissuadere, il ricorso al licenziamento illegittimo”.

Il Comitato ribadisce dunque con forza quanto già stabilito in altra pronuncia che riguardava la Finlandia, e cioè che non è ammissibile un tetto massimo (plafond) al risarcimento dovuto alla vittima dell’abuso, e ciò tanto più in un contesto in cui la procedura conciliativa stragiudiziale prevista dalla legge italiana permette al datore di lavoro (pagando metà dell’indennizzo senza oneri fiscali) di sottrarsi dal procedimento giudiziario predeterminando così in misura ulteriormente ridotta i costi del suo abuso.

Al lavoratore vittima di un licenziamento illegittimo, invece, va assicurato il risarcimento integrale dal danno subito, senza limiti di sorta: solo così il sistema sanzionatorio può essere considerato veramente dissuasivo per i datori di lavoro e coerente con la normativa europea.

Le decisioni del Comitato sociale europeo, contrariamente a quelle della Corte di giustizia, non sono immediatamente esecutive nel nostro ordinamento. Tuttavia hanno un grande peso politico e costituiscono precedenti importanti per i giudici nazionali, i quali dovrebbero adeguarsi ai principi ivi affermati. Inoltre, il provvedimento è stato trasmesso al Comitato ministeriale del Consiglio dell’Unione europea, il quale dovrebbe a propria volta emanare una risoluzione nei confronti dell’Italia.

Il legislatore italiano, dunque, deve al più presto adeguarsi per evitare il rischio di vedere di nuovo condannato il nostro Paese, questa volta per la mancata applicazione degli obblighi derivanti dalla appartenenza al Consiglio d’Europa.

La strada non può che essere quella di ripartire dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, richiedendo la sua estensione anche alle piccole imprese, nelle quali i livelli di tutela in favore dei lavoratori vittime di licenziamenti ingiustificati sono ancora più ridotti.

* Sono avvocato giuslavorista che opera prevalentemente a Torino, assistendo esclusivamente i lavoratori. Sono uno dei fondatori dell’Associazione Comma2 (Comma2.it).

Articolo Precedente

Salario minimo, Catalfo: “Vicini ad accordo di maggioranza”. Verso proposta di soglia oraria di 7-8 euro in linea con la media Ue

next
Articolo Successivo

La soluzione al lavoro sottopagato c’è. E non è il reddito di cittadinanza

next