In tempo di celebrazioni, non poteva mancare quella a Peter Gabriel, il quale proprio oggi compie settant’anni; giornali, tv, web, tutti uniti appassionatamente nel celebrare una delle figure indubbiamente più influenti del Rock.

Vediamolo nei consueti nove punti, caratteristica fondante di questo blog.

1. Nel sostenere la genialità di Peter Gabriel si rischia di cadere nella trappola dell’ovvietà; la carriera del Nostro ha vissuto momenti talmente rilevanti da riuscire, senza mezzi termini, ad appartenere all’intero carrozzone musicale. Peter è parte di quella ristrettissima cerchia di artisti la cui opera non può essere discussa: vive lassù, nell’olimpo dei grandi; da quel pulpito “fa e disfa” quello che gli pare.

2. Evitiamo di riscrivere per intero “la rava e la fava”, ragioniamo “in random” ripescando ad esempio “So” (per Real World, 1986); un vero e proprio spartiacque per lui, ancor più, per il periodo in cui esce, poiché oltre a traghettarlo nel mare magnum musicale popolare, nobilita il tratto di un genere intero, il Pop. Le implicazioni socio culturali incluse nell’operazione scuotono e non poco il mondo della musica.

3. “Di palo in frasca” è possibile incappare nell’ennesima reincarnazione, datata 2010. Quel giorno aveva annunciato che avrebbe smesso di indossare maschere. Ricordate Scratch My Back (Real World, 2010)? Ad indossarle furono le sue canzoni, o meglio, quelle degli altri, opportunamente “ricondizionate” secondo parametri personali.

4. I tour restano veri e propri happening indimenticabili. Torna alla mente, ad esempio, il New Blood Tour del 2011; Peter, dall’alto della sua imperscrutabile lucidità aveva annunciato che avrebbe riscritto le consuetudini a lui connesse. Aveva continuato affermando che avrebbe fatto a meno del basso di Tony Levin e delle chitarre di David Rhodes. Quello che non aveva detto è che si sarebbe avvalso di un’orchestra di cinquanta elementi e che lo show, sarebbe durato tre ore: “Suddiviso in due atti”, spiegò in un italiano fluente all’Arena di Verona. Parliamo di un live stampato nella mente e nel cuore, portato “addosso” con orgoglio, per sempre.

5. Riavvolgiamo il nastro, spostando l’attenzione su quanto concepito dall’ex Genesis agli esordi come solista: i primi tre album lasciano senza fiato, usciti per Real World tra il 1977 e il 1980 (“1”, “2”e “3”). Hanno esplorato territori oscuri e cerebrali, incorporando influenze d’avanguardia ed elettroniche, stabilendo una linea di confine con il passato indissolubile.

6. Dei tre album, l’ultimo è quello che indubbiamente lascia il segno, consacrandone definitivamente la carriera, in grado di proiettarlo nell’imaginario comune, come artista di culto acclamato, per il momento, principalmente dalla critica. Agli albori di questi tre dischi vige l’esistenza di un artista fuori dai compromessi. Avrebbe altrimenti mollato i Genesis” al massimo del loro splendore per cercare (e trovare) l’ignoto?

7. Security (per P&d/Real World, 1982) continua dove il terzo album si era interrotto, amplificandone il riscontro di pubblico, grazie al successo di Shock The Monkey. Il disco in verità condivide parte della densa produzione precedente, alleggerendone l’atmosfera al contempo ampliando la ricchezza policroma della tavolozza sonora. L’oscurità che permea il terzo album è qui alleviata e, sebbene si tratti di musica decisamente cupa e seria, restituisce sensazioni più luminose. Forse derivate dal diletto di Gabriel nei riguardi dei ritmi africani e latini?

8. Le colonne sonore da lui realizzate lasciano un segno indelebile nell’immaginario comune. Ricordate il contributo realizzato per Birdy (Real World, 1995), il capolavoro di Alan Parker? Ancor di più, viene alla mente il crescendo percussivo, quanto meditativo, di Passion (Music for the Last Temptation of Christ – Geffen, 1989), le musiche per il film omonimo di Martin Scorsese. Sonorità che raggiungono apici celestiali, derivativi del risonante dramma spirituale del film. Forse il disco definitivo di Peter Gabriel? Oppure quello in grado di trascendere definitivamente il connubio esistente tuttora tra world music ed elettronica?

9. “Us”, nel 1992 consacra ulteriormente Gabriel in ambito mainstream, sebbene, il performer, non rinunci alle sperimentazioni a lui care: sonorità esotiche, percussioni striscianti, atmosfere sontuose. All’indomani della pubblicazione, le critiche di una parte dei fan non si fecero attendere, accusando l’artista di aver concepito il disco sotto l’egida del successo commerciale. Riascoltandolo, oggi, “pare invecchiato bene”, sostenuto dal prezioso lavoro di un vero e proprio artigiano del suono; niente risulta essere lasciato al caso.

Esiste qualcosa nella carriera di Peter Gabriel non andata per il verso giusto? “Ovo” e “Up” appartengono “alla terra di mezzo”, rigorosamente da attraversare con passi lunghi e ben distesi; il trittico lascia – intatto – “il tempo che trova”; ci si chiede, più che altro che cosa abbia aggiunto a quanto prodotto fino a quel momento.

Ai giorni nostri Peter che combina? Vive certamente di luce riflessa. La produzione è ferma da anni. Come detto, le maschere sono state riposte ed è pure terminato “il tempo della muta”. Quel che rimane è da ricercare nella gloria di canzoni eterne, ancora oggi capaci di agitare le corde dell’anima.

Eccovi la consueta playlist di chiusura, ovviamente dedicata a Peter Gabriel.

Buon ascolto!

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