Un filo nero che dal Maestro Venerabile della P2 passa dal cuore dello Stato e finisce agli estremisti di destra, passando da agenti dell’intelligence e faccendieri, assoldati per depistare le indagini. Ora non è più una suggestione ma una vera ipotesi investigativa: fu la loggia massonica Propaganda 2 a organizzare e finanziare la strage di Bologna. E dietro alla bomba alla stazione c’erano quattro menti nere: quelle di Licio Gelli, del suo braccio destro Umberto Ortolani, del potentissimo capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato, e del piduista senatore del Msi, Mario Tedeschi. La pensa così la procura generale di Bologna che ha chiuso, notificando gli avvisi di fine indagine, l’ultima inchiesta sul massacro del 2 agosto del 1980: 85 i morti e oltre 200 i feriti. A poco più di un mese dalla sentenza che ha inflitto l’ergastolo per l’ex Nar, Gilberto Cavallini, gli inquirenti scrivono un altro capitolo giudiziario di quello che è probabilmente l’apice della cosiddetta strategia della tensione. Ed è il capitolo fino a oggi più oscuro, quello contenuto nell’avviso firmato dall’avvocato generale Alberto Candi e dai sostituti pg Umberto Palma e Nicola Proto, che hanno coordinato le indagini di Guardia di Finanza, Digos e Ros dei carabinieri.

Licio Gelli
Licio Gelli

Il filo nero della bomba alla stazione – Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi sono considerati rispettivamente mandanti- finanziatori e mandanti – organizzatori della strage, ma sono morti da tempo. Nel registro degli indagati c’è anche Paolo Bellini, la “primula nera”, l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore in concorso con i quattro estremisti neri già condannati: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. I primi tre sono stati riconosciuti colpevoli in via definitiva, il quarto solo in primo grado. Ma non sarebbero i soli. Nell’avviso di conclusioni indagini, infatti, si legge che Bellini è indagato “con altre persone da identificare“. La preparazione del massacro, stando agli inquirenti, sarebbe iniziata nel febbraio del 1979 “in una località imprecisata”. L’avviso di conclusione delle indagini è indirizzato anche all’ex generale del Sisde Quintino Spella e all’ex carabiniere Piergiorgio Segatel: sono accusati di depistaggio. L’amministratore del condominio di via Gradoli, a Roma, Domenico Catracchia risponde di false informazioni al pm.

Bolognesi: “Sono passati 40 anni, se ne potevano risparmiare 10” – Il primo a commentare l’esito delle indagini è Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, secondo il quale l’avviso “è nella direzione dei documenti che avevamo predisposto noi per la Procura. Il problema è che sono passati 40 anni, forse se ne potevano risparmiare 10-15. Ora speriamo che si possa mettere le mani sui mandanti fino in fondo. Bisognerà leggere i documenti, valutare, vedere e questo sarà compito degli avvocati. Mi fa piacere che possa avere efficacia la legge sul depistaggio che ho voluto quando ero in Parlamento”. “Esprimiamo soddisfazione per l’indagine condotta in maniera ineccepibile e attenta dalla procura generale. L’addebito provvisorio a Paolo Bellini ce lo aspettavamo e ora abbiamo la conferma. L’ipotizzato concorso in strage di Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi è una novità assoluta che ci fa ritenere che questo processo possa cambiare la storia di questo paese“, dice l’avvocato dei familiari della vittime Andrea Speranzoni. “Con questa imputazione – aggiunge – la strage entra a pieno titolo dentro la strategia della tensione. C’è stato un dibattito su questo tema. Io ora mi sento di dire che da Piazza Fontana al 1980, l’arco ricomprende in toto i fatti del 2 agosto”.

Umberto Ortolani

“Flussi miliardari da Gelli e Ortolani” – L’ultima indagine sulla strage di Bologna dunque riannoda il filo nero che dala P2 passa dal cuore dello Stato – l’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, guidato per anni da D’Amato – e finisce agli estremisti di destra, passando da agenti dell’intelligence e faccendieri. Una ricostruzione che non è completamente inedita ma che finora non era mai approdata ufficialmente in un avviso di conclusione indagini, che di solito è il prologo del rinvio a giudizio. Gelli era stato già condannato come depistatore dell’attentato, mentre il suo braccio destro Ortolani era stato prosciolto. Accusato di essere stato al centro degli intrighi finanziari della loggia, Ortolani era sparito per sottrarsi a due mandati di cattura internazionali. Rifugiatosi a San Paolo, il Brasile si era sempre rifiutato di arrestarlo perché cittadino brasiliano. Nel 1996, nel processo sulla loggia P2, venne assolto dall’accusa di cospirazione politica contro i poteri dello Stato. Nel 1998 la Cassazione lo ha condannato in via definitiva a 12 anni per il crac del Banco Ambrosiano. Gelli e Ortolani vengono considerati mandanti-finanziatori della strage. Il potentissimo D’Amato, ex agente anglo americano, regista delle principali trame occulte italiane, è invece accusato di essere mandante-organizzatore della bomba: uomo dei mille misteri, anche D’Amato era iscritto alla P2. Faceva parte della loggia di Gelli – tessera numero 1.643 – anche Tedeschi, storico direttore de Il Borghese e senatore del Movimento sociale: per gli inquirenti ha aiutato D’Amato nella gestione mediatica degli eventi preparatori e successivi alla strage, ma anche delle attività di depistaggio.

“Milioni di dollari da Gelli ai Nar” – I finanzieri hanno documentato flussi di denaro per alcuni milioni di dollari movimentati e, attraverso varie e complesse operazioni, partiti sostanzialmente da conti riconducibili a Gelli e Ortolani e alla fine destinati, indirettamente, al gruppo dei Nar e a coloro che sono indicati come organizzatori, cioè D’Amato e Tedeschi. Gli investigatori hannoa analizzato documentazione bancaria, rogatorie con la Svizzera – alcune rimaste senza risposta – ma anche su carte sequestrate all’epoca e soprattutto ha preso spunto dal fascicolo del processo sul crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, consegnato agli inquirenti dagli avvocati dei familiari delle vittime. In particolare all’interno del fascicolo c’è un atto chiamato documento Bologna, sequestrato nel 1982 a Gelli, quando fu arrestato in Svizzera: un manoscritto con intestazione ‘Bologna – 525779 – X.S.’, con il numero corrispondente ad un conto corrente acceso alla Ubs di Ginevra dallo stesso Gelli. Un documento le cui informazioni sono state collegate con altre. Proprio sulla base della data in cui si ritiene che sia partita la prima movimentazione del denaro, cioè a febbraio 1979, la Procura generale ha inserito nelle imputazioni il momento di inizio della condotta preparatoria all’attentato: febbraio 1979, appunto, “in località imprecisata“.

“L’ex 007 Spella depistò” – Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi sono iscritti nell’avviso di conclusione indagini, ma verranno archiviati visto che sono deceduti da tempo. Nell’atto della procura generale di Bologna, però, ci sono altri quattro indagati. Tre sono accusati di depistaggio e falsità ai pm. Quintino Spella, ex generale dei servizi oggi 90enne, è il funzionario a cui il magistrato Giovanni Tamburino (che ha testimoniato davanti allacorte d’Assise di Bologna durante il processo all’ex Nar Gilberto Cavallini), disse di essersi rivolto dopo aver raccolto, nel luglio del 1980, le dichiarazioni dell’estremista di destra Luigi Vettore Presilio. Quest’ultimo gli disse che,di lì a poco, sarebbe stato realizzato un attentato con una bomba” di cui avrebbero parlato i giornali di tutto il mondo”. Spella ha negato di aver incontrato nel luglio e agosto 1980 il magistrato di sorveglianza Tamburino. Nell’avviso di conclusione indagini si legge che è indagato perché “sentito in veste di persona in grado di riferire circostanze utili per le indagini negava il vero sostenendo di non avere incontrato nel luglio e nell’agosto 1980 (in particolare, nei giorni 15, 19 e 21/7 e 6/8) il magistrato di sorveglianza in Padova, Giovanni Tamburino, che lo aveva reso edotto di quanto appreso da Vettore Presilio, detenuto nel carcere di Padova, e in particolare: della preparazione di un attentato di notevole gravità, la cui notizia avrebbe riempito le pagine dei giornali di tutto il mondo, nonché del progetto di allentato al Giudice Stiz che lo stesso gruppo terroristico aveva in programma dì compiere”. Fatto, secondo la procura, “commesso in Padova nell’audizione del 25/1/2019; confermato il 14/5/2019 in sede di confronto con il dott. Tamburino”.

Federico Umberto D’Amato

“L’ex carabiniere voleva ostacolare le indagini in corso” – Insieme a Spella è indagato anche l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel: oggi ha 72 anni e nel 1980 faceva del Nucleo Investigativo del Gruppo di Genova. Per i magistrati bolognesi, che lo hanno sentito due volte lo scorso anno, l’ex militare avrebbe dichiarato il falso per “ostacolare le indagini in corso”. In altre parole mentì alla procura quando smentì Mirella Robbio (moglie dell’esponente di Ordine nuovo, Mauro Meli), secondo la quale Segatel le fece visita poco prima del 2 agosto, dicendole che “la destra stava preparando qualcosa di veramente grosso” e chiedendole di riprendere i contatti con l’Msi di Genova e con gli amici del marito per “cercare di capire cosa fosse in preparazione”. Segatel ha inoltre negato, secondo gli investigatori bolognesi mentendo, di essere andato a trovare Robbio dopo la strage, dicendole: “Hai visto cosa è successo?“. Per i magistrati, infine, Segatel ha mentito ancora quando ha dichiarato che la sua prima visita a Robbio fosse stata fatta per chiedere informazioni sull’omicidio del magistrato Mario Amato, e non per saperne di più sulla strage che si stava preparando.

L’amministratore degli appartamenti di via Gradoli a Roma – Sotto inchiesta anche l’amministratore del condominio di via Gradoli a Roma, accusato di aver mentito quando ha negato di aver dato in affitto tra il settembre e il novembre 1981 un appartamento nell’ormai nota strada della Capitale. Inoltre sarebbe stato reticente, rifiutandosi di spiegare modalità e ragioni per cui Vincenzo Parisi, funzionario di pubblica sicurezza e poi direttore del Sisde, “si serviva di tutta l’agenzia” dello stesso Catracchia e, comunque, non avrebbe spiegato la circostanza, emersa in un’intercettazione ambientale, per cui Parisi si avvaleva dei suoi servizi per le attività immobiliari. Via Gradoli, la strada romana dove le Brigate rosse avevano allestito il carcere di Aldo Moro nel 1978, era emersa anche nel processo a Cavallini grazie ad alcuni documenti prodotti dalle parti civili. Nella stessa via, infatti, anche i Nar avevano due covi, nel 1981. E gli appartamenti in uso ai terroristi di estrema destra, così come quello delle Br, erano riconducibili a società immobiliari e a personaggi legati al Sisde. Proprio Catracchia sarebbe stato l’amministratore dell’immobile dove si nascondevano le Br, oltre che amministratore della società proprietaria dello stabile. Ma il suo nome è tornato quando furono individuati i covi Nar, a lui riconsegnati in quanto titolare, di nuovo, dell’immobiliare di riferimento. Come dire: il padrone di casa di terroristi neri e rossi era lo stesso. E aveva legami coi servizi segreti, cioè con lo Stato.

Bellini, il Super 8 della strage – La posizione più delicata è sicuramente quella di Bellini, l’ex estremista nero protagonista di una vita spericolata. Per la strage di Bologna era già stato indagato e prosciolto il 28 aprile del 1992: negò la sua presenza, indicata da due testimoni, in città la mattina del 2 agosto e fornì un alibi ottenendo il proscioglimento, annullato solo qualche mese fa dalla giudice Francesca Zavaglia. Una revoca che era stata richiesta dalla Procura generale e legata a tre nuovi elementi raccolti. Tra questi c’è un fotogramma che compare in un filmato amatoriale Super 8 girato da un turista tedesco negli attimi immediatamente precedenti alla strage. A recuperarlo nell’archivio di Stato i difensori dei familiari delle vittime, gli avvocati Andrea Speranzoni, Giuseppe Giampaolo, Nicola Brigida e Roberto Nasci, che lo hanno poi depositato alla procura generale. In quel video compare un uomo che si aggira nei pressi del primo binario della stazione: ha i baffi e capelli ricci e dimostra una “spiccata somiglianza” con le foto segnalatiche dell’epoca di Bellini. A differenza di quello che avviene oggi con gli smartphone, infatti, nel 1980 le riprese amatoriali erano realizzate solo da pochi appassionati in possesso di videocamere. Il turista filmò dal treno l’arrivo in stazione sul primo binario, alle 10.13, 12 minuti prima dello scoppio. Quell’uomo è Bellini? Per cercare di capirlo la procura ha di nuovo messo sotto inchiesta l’ex estremista nero.

L’aviere e la trattativa – Il secondo elemento che “inguaia” Bellini è rappresentato da un’intercettazione ambientale del 1996: Carlo Maria Maggi, ex capo di Ordine Nuovo, condannato per la strage di Brescia e ora deceduto, parlando con il figlio disse di essere a conoscenza della riconducibilità della Strage di Bologna alla banda Fioravanti e che all’evento partecipò un “aviere“, che portò la bomba. Proprio Bellini Bellini era infatti conosciuto nell’ambiente dell’estrema destra per la passione per il volo tanto che conseguì il brevetto da pilota. Il terzo elemento arriva dal processo di Palermo sulla trattativa ‘Stato-Mafià, dalla cui sentenza di primo grado risulta la sussistenza di rapporti tra Bellini e Sergio Picciafuoco, quest’ultimo, seppur definitivamente assolto dal delitto di partecipazione alla strage dopo la condanna in primo grado, certamente presente alla stazione di Bologna la mattina della strage. “Il mio cliente si è sempre proclamato innocente“, dice l’avvocato Manfredo Fiormonti.

La primula nera che parlava con Cosa nostra – Un passato in Avanguardia Nazionale, condito da diversi arresti mancati che gli hanno fatto conquistare sul campo il soprannome di Primula Nera, Bellini oggi ha 66 anni e una storia da film alle spalle: esperto di opere d’arte, fuggito in Brasile, noto per diversi anni come Roberto Da Silva, nel 1999 finisce in manette e decide di collaborare con la magistratura, confessando una decina di omicidi, tra cui quello dell’esponente di Lotta Continua Alceste Campanile. Poi collabora anche con la procura di Palermo che indaga sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Racconta anche di aver conosciuto Nino Gioè e di aver intrattenuto con lui una sorta di trattativa parallela: i mafiosi avrebbero fatto ritrovare alcune opere d’arte rubate, e in cambio avrebbero ottenuto l’alleggerimento del carcere duro. Ipotesi mai andata in porto, ma una delle tante piste dietro alle stragi di Firenze, Roma e Milano, conduce proprio alla Primula Nera, che sarebbe stato l’ispiratore degli attentati mafiosi al patrimonio artistico italiano. Per la procura siciliana, tra l’altro, Bellini si trovava a Enna quando Totò Riina ordinò agli altri boss mafiosi di rivendicare omicidi e stragi commessi dal 1992 in poi con l’oscura sigla della Falange Armata. Le stragi, la Trattativa, gli anni di piombo, gli omicidi e ora anche la strage di Bologna: pezzo di un puzzle dove Bellini compare più volte. Forse anche in un filmino amatoriale girato da un turista tedesco in stazione. Pochi minuti dopo la strage, che per gli inquirenti fu pensata dalla P2 e dall’uomo nero del Viminale, finanziata da Gelli e Ortolani, depistata dai servizi segreti.

Twitter: @pipitone87 e @trinchella

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