Big Luciano addio. Pavarotti? Macchè: Luciano Gaucci. L’ex presidente del Perugia è morto ad 81 anni in quel di Santo Domingo. Luogo eletto a ritiro definitivo, o ex latitanza, proprio a ridosso della villa di Antonio Banderas, dopo che nel 2005 il suo Perugia fallì e scattarono indagini, processi, e infine la condanna a tre anni – patteggiati – per associazione a delinquere finalizzata a bancarotta fraudolenta. Un personaggio da calcio d’altri tempi. Il presidente che scende in campo, che vuole certi giocatori in squadra la domenica e s’impone sull’allenatore, che acquista direttamente sconosciuti da campionati impossibili. Fumantino, esuberante, indomabile, litigioso e gaudente, Gaucci, classe ’39, iniziò la sua carriera professionale da un tram dell’Atac. Volantone, leve, manovelle. Signori è il capolinea si scende.

Siamo nel 1974 e Roma è già troppo piccola per lui. Efficienza, ordine e un pizzico di rubiconda animosità. Voilà l’impresa di pulizie “la Milanese”. Centinaia di dipendenti, appalti su appalti. Luciano frequenta la creme democristiana della capitale: dal cardinale Angelini, fino all’entourage andreottiano degli Evangelisti e Ciarrapico. E poi alla passionaccia dell’ippica non si comanda. Appena ha qualche milioncino da parte fonda la scuderia White Star. Ed è subito sera. Lucianone ha voglia di stupire e dagli accoppiamenti tra cavalli pompati di ogni ben di dio nasce Tony Bin che lo porta in trionfo a Parigi. Anche i sampietrini ricordano che il cavallo venne venduto per 7 miliardi ad un ricco giapponese. Siamo sul finire degli anni Ottanta e il voglino ora è tutto per il calcio.

Romanista da sempre, Gaucci prova a scalare la Roma. Affianca Dino Viola, ma il bonbon giallorosso lo scarta Ciarrapico. Un pensierino alla Lazio? Manco morto. Ed ecco che il Tevere più che attraversarlo lo risale fino a Perugia. Siamo nel 1991, l’undici umbro è in C1. Tempo un annetto e arriva la B, ma per via di un altro cavallo, il purosangue Veyer, venduto a poco prezzo al suocero dell’arbitro Senzacqua, omino in nero appassionato di ippica che guarda caso arbitrerà due incontri decisivi per la promozione del Perugia in B, la squadra del grifone riscivola in purgatorio. Tre anni di squalifica al presidentissimo, ma lui non molla. L’anno dopo il Perugia è in B e nel ’96 con in panchina l’illuminato Galeone è in A. Giusto il tempo di una retrocessione e di nuovo nel ’98 torna in massima serie dove ci rimarrà ininterrottamente fino al 2003.

Con Serse Cosmi in panca il Perugia arriva perfino in Uefa. In mezzo un lampo furioso che nemmeno Romeo Anconetani. Il 6 novembre 1999, Perugia-Bari al Curi. Il Perugia di Mazzone è lanciatissimo. Il Bari di Fascetti medita lo sgambetto. Anzi, no: la gomitata sullo zigomo. Dopo dieci minuti Innocenti del Bari acceca Renato Olive. Il perugino finisce sotto i ferri e intanto i galletti vincono 2 a 1. Quello che succede tra gli spogliatoi e il pullman degli ospiti però è memorabile. Il presidente barese Vincenzo Matarrese sale sul pullman e da lontano Gaucci prima chiede conto all’arbitro Pellegrino dell’assenza di sanzioni per il ko di Olive, poi si avventa su Matarrese prima con insulti coloriti contro di lui e il fratello Antonio poi tenta perfino di assalire il mezzo degli ospiti. Gaucci non ha freni.

Compra di tutto: la Sambenedettese, la Viterbese, il Catania. Alla guida della Viterbese impone, primo caso in Italia, un’allenatrice in panchina: l’ex calciatrice Carolina Morace. Intanto Luciano coi due figli mette su una rete di scouting che in Italia frutta parecchi risultati ma dall’estero agguanta curiosi fenomeni parastatali. Tra le tante sòle ricordiamo l’arrivo dell’inqualificabile calciatore cinese Ma Mingyu (un miliardo secco nel 2001 per una sgambatina in un’amichevole estiva e qualche minuto nel primo turno di coppa Italia), e il clamoroso arrivo del figlio di Gheddafi, Saadi, che gioca (malamente) quindici minuti di Perugia-Juve, ma intanto diventa il primo calciatore di Serie A a possedere contemporaneamente una quota della squadra in cui gioca. Altro giocatore straniero, altra perla all’italiana. Nel 2000 Gaucci&Co acquistano il coreano Ahn Jung-hwan. Il ragazzo gioca trenta partite e segna pure 5 goal, ma quando nel 2002 nella storica partita dei mondiali Italia-Corea del Sud Ahn segna il gol della vittoria dei coreani il giorno dopo Gaucci sentenzia: “Non pagherò più lo stipendio per chi è stato la rovina del calcio italiano”.

Solo che anche i bei sogni finiscono e nel 2005 con il Perugia già in B, arriva il fallimento. E non è cosa da nulla, perché Gaucci fugge direttamente ai Caraibi. Con lui la bella Elisabetta Tulliani, qualche anno dopo signora Fini, già fidanzata del figlio, di Gaucci, Alessandro. Rapporto bello e turbolento. Finito anche qui nelle aule di giustizia con il pres a invocare una scrittura privata dove doveva essere confermato il suo momentaneo lascito alla compagna di un tesoretto da nascondere al fisco composto da appartamenti, gioielli, terreni, quadri di de Chirico e Guttuso. Ma anche qui la legge dà torto a Gaucci che nel 2004 tenta pure la sfortunata e scalcagnata scalata al Napoli: tempo di un De Laurentiis e rimane con una scatola vuota in mano e il solito cumulo di debiti. “Con Gaucci ne succedeva una al giorno, nel bene e nel male – ci racconta Renato Olive, bandiera del Perugia sotto la presidenza Gaucci – Sono dispiaciuto, di Luciano ho solo ricordi buoni. Lui è stato un presidente unico, bizzarro, mica voleva incidere sulla formazione della domenica, no. Lui comandava e basta. Era diverso. Era in perenne conflitto con tutti gli allenatori. Un giorno mi chiama e mi dice: questo è l’elenco dei quattro allenatori che ho deciso di prendere, quale vuoi da domani? E poi con lui mai lamentarsi, perché se parlavi ti chiamava ‘sindacalista‘. Tra l’altro nel Perugia ho fatto più ritiri, ben 4 mesi in due anni, che in tutti gli anni di carriera”.

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Luciano Gaucci, morto a 81 anni a Santo Domingo l’ex presidente del Perugia: dalle pulizie all’ippica, poi il calcio e la latitanza

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