La notizia di soldati libici curati a pagamento nei letti dedicati al servizio sanitario nazionale presso l’ospedale privato convenzionato San Donato – alle porte di Milano – offre lo spunto per alcune riflessioni su un tema non banale. Da consigliere regionale pediatra, ricordo gli anni in cui da studente ricevemmo all’ospedale San Paolo un gruppo di bambini libici malati di Hiv, che secondo Gheddafi erano stati infettati da cinque infermiere dell’Est europeo che furono condannate a morte. Curati a spese del governo libico.

Non scordiamoci di valorizzare il nostro sistema sanitario e di welfare, in cui le cure sono gratuite. Noi europei siamo quasi gli unici al mondo. Per chi vive in paesi con sistemi sanitari di qualità non adeguata, è bene porsi la questione di cosa fare. Nei 7 anni di lavoro come medico in paesi poveri e in guerra ricordo la soddisfazione di tanti bambini guariti e dei medici e infermieri locali che ho contribuito a formare: sempre mi sono interrogato su come si possano al meglio garantire i diritti alla cura di tutti in un sistema a risorse economiche e umane non infinito.

Curare a pagamento i ricchi dei paesi poveri

E’ giusto che i ricchi di quei paesi possano curarsi a pagamento all’estero. A Dubai già in aereo, prima di atterrare si magnificano gli ospedali dove è possibile curarsi a pagamento. E’ fonte lecita di sviluppo economico e credo che anche gli ospedali pubblici e privati della Lombardia debbano attrezzarsi per intercettare questi pazienti. La promozione di questo servizio deve essere fatta da professionisti del settore: in un mio ordine del giorno (luglio 2018), bocciato in aula, chiedevo un impegno della Regione a stipulare un accordo con il Cluster Lombardo Scienze della vita, istituito presso Assolombarda per la promozione all’estero dei servizi delle Aziende Ospedaliere, anche pubbliche, che si dotino di alcune caratteristiche (equipe di lingua, pacchetti modulari, ecc). Con i soldi incassati la Regione potrebbe aumentare le borse di studio per specializzandi, comprare macchinari, investire, ma anche contribuire a ridurre il debito pubblico italiano chiedendo meno soldi allo stato.

Non curare gratis in Italia i poveri dei paesi poveri

Non credo invece ai viaggi della speranza, né a quelle organizzazioni e ospedali (San Donato compreso) che usano soldi della cooperazione e la gratuità del nostro sistema sanitario per il singolo intervento del “bambino malato povero”: l’intervento è riuscito e il paziente poi muore. Trasportare e accogliere negli ospedali singoli casi medici gravi, provenienti da paesi in via di sviluppo, per interventi ad alto costo economico, senza sapere se le strutture in loco siano in grado di gestirne il follow up non è cost-effective: la cooperazione allo sviluppo deve rientrare in un ragionamento sul sistema di risorse economiche che non sono infinite. Vanno aboliti: si tratta di buona coscienza a buon mercato.

Un mio ordine del giorno, approvato nel luglio 2018, otteneva un impegno della giunta a “tenere ben separato ciò che è intervento umanitario da ciò che è turismo sanitario internazionale, evitando i singoli interventi sanitari umanitari, al fine di utilizzare le risorse risparmiate per finanziare progetti di sviluppo che aiutino le comunità ‘a casa loro’”.

Come aiutare i malati poveri dei paesi poveri

Quindi sosteniamo che i ricchi dei paesi poveri si curino da noi e i poveri muoiano? No di certo. Perché questo sistema tenga dal punto di vista etico e di costo-beneficio, il nostro contributo per i malati poveri dei paesi poveri deve essere l’impegno verso una cooperazione medica di qualità in quei paesi. Su questo siamo distratti, come istituzioni e come cittadini che donano senza approfondire dove finiscano i nostri soldi.

Non credo al modello del singolo bambino cardiopatico libico operato a San Donato, non è sostenibile. Credo invece alla apertura/cogestione di ospedali gratuiti e di qualità in quei paesi, garantendo continuità, con presa in carico della gestione clinica dei pazienti e del management della struttura, a disposizione di tutti. E’ l’unico modo di formare con il training on the job al letto del paziente e in sala operatoria infermieri e medici di quei paesi, contribuendo nel medio-lungo termine a una soluzione di sistema. Separare il lecito guadagno sanitario e la cooperazione allo sviluppo, considerando entrambi asset strategici, è potente strumento di politica estera verso la pace e concordia dei popoli, e fonte di sviluppo economico per la sanità italiana.

Posti letto sottratti a cittadini italiani e accordi Italia-Libia

Il fatto che in questo caso il gruppo San Donato avrebbe sottratto posti letto al Ssn attiene al rapporto di regia mancante di Regione verso gli ospedali privati convenzionati, che non demonizzo. Gravi sono invece i margini di tolleranza e sudditanza dimostrati dalla Regione in questi anni verso i singoli comportamenti “anomali” dei privati convenzionati: sono delle ultime settimane anche le indagini per truffa sui rimborsi dei farmaci da file F. Questa vicenda mostra che anche quando i pochi controlli o le segnalazioni di funzionari coraggiosi mostrano gravi irregolarità, la Regione desidera che se ne parli il meno possibile e non agisce in modo chiaro, favoleggiando la reiterazione di irregolarità a causa di sanzioni ridicole e senza conseguenze che le scoraggino.

Infine, non mi turba che i libici curati a San Donato fossero soldati. Quando curo una persona non mi tange il lavoro che fa, e neppure a quale fazione appartenga. Ciò che è da pretendere è la trasparenza, che si sappia, che il nostro ministero degli Esteri sia concorde e valorizzi in Italia e in Liba questo aiuto. Se il 2 febbraio prossimo il rinnovo degli accordi Italia-Libia prevedesse non la regalia di navi e motovedette utili alla guerra e a ricacciare nei lager i migranti, ma la assistenza sanitaria di soldati di entrambe le fazioni e civili libici, gratuitamente, questo sì sarebbe usare la sanità italiana come strumento di politica estera e chiunque vinca questa sporca guerra potrebbe rendercene merito. Beati i costruttori di pace.

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