I fatti sono questi: un giudice inglese ha stabilito che un lavoratore non possa essere licenziato sulla base del suo credo vegano, perché il veganesimo è una forma di filosofia religiosa come altre, e rientra nel cosiddetto Equality Act, una legge che difende chi è sottoposto a discriminazione in base alle sue convinzioni.

È accaduto nel Regno Unito, appunto, dove un dipendente di una organizzazione benefica pro animali – tra l’altro – era stato licenziato per obiezioni sull’utilizzo a suo avviso non etico dei fondi pensione dell’associazione. Ma al di là della singola vicenda, ciò che questa sentenza molto attesa stabilisce è che il veganesimo non è solo una pratica alimentare, ma molto di più, una vera filosofia etica, o etico-religiosa, che non può essere discriminata.

E’ ovvio che se non viene spiegata o analizzata, questa sentenza rischia di essere recepita come non dovrebbe: ovvero come una sorta di vittoria dei vegani fondamentalisti-oltranzisti. Ecco – potrebbe dire una persona non vegana leggendo l’articolo – è certificato: i vegani sono degli ultrà del cibo, una vera e propria setta e la sentenza inglese lo certifica.

In realtà le cose non stanno affatto così. Anzitutto, bisogna capire che, a differenza che da noi, il diritto anglosassone è molto sensibile alla tutela delle minoranze religiose, etniche, ma anche appunto filosofico-etiche. In nome di un “politicamente corretto”, spesso criticato, nel Regno Unito così come negli Stati Uniti la non discriminazione di chi non la pensa come la maggioranza è un punto d’onore, che spesso dà origine alle cosiddette “quote” riservate appunto alle minoranze.

Chiarito questo aspetto, il senso della sentenza in realtà è un altro da ciò che si potrebbe pensare: dare dignità etica a una posizione che infatti etica è. Perché al di là di chi la considera una semplice pratica alimentare, sia esso onnivoro oppure vegano, non c’è dubbio che la filosofia vegetariana e quella vegana portano con sé istanze etiche e morali molto forti, di rispetto degli altri essere viventi, di proibizione della loro barbara uccisione (e oggi anche di protezione di un ambiente che sta collassando).

Non solo. Vegani o vegetariani sono stati tantissimi filosofi antichi, con argomentazioni filosofico-religiose che varrebbe la pena riscoprire, così come moltissimi intellettuali cristiani e santi, per non parlare anche di esponenti religiosi di religioni non occidentali. E ancora scrittori famosi, poeti, artisti: in breve il rifiuto di non mangiare animali è una posizione filosofico-etica (religiosa in questo senso) importante e di tradizione antichissima. Ovviamente si può essere vegani per tanti motivi diversi: perché fa bene alla salute, perché rispetta il pianeta, ma in ogni caso l’astensione dal cibo animale sotto ogni sua forma resta comunque formidabile opzione etica.

Ma appunto, ripeto, questo non vuol dire per nulla che siccome è una posizione etica debba diventare intransigente e fondamentalista. C’è una distinzione fondamentale tra l’avere una visione etica del mondo e l’essere violento verbalmente o fisicamente. Una visione etica forte può diventarlo, ma anche no: il mondo è pieno di bellissime utopie che hanno cambiato il mondo senza violenza. Dunque interpretare questa sentenza come una patente di intolleranza è ridicolo e anche antistorico. E spetta ovviamente anche a chi è vegano non interpretarla in questo modo.

Ormai sempre di più il veganesimo, o il vegetarianismo, è una pratica alimentare che si diffonde a macchia di leopardo, specie tra i più giovani ma non solo. Troppi sono i motivi che ci dovrebbero spingere a ridurre o eliminare le proteine animali: benessere del corpo, longevità, riduzione delle emissioni in atmosfera e infine, ovviamente, il fatto che non vadano più al macello miliardi e miliardi di animali nel mondo. Sarebbe ora che anche nel nostro paese si mettesse fine alla inutile guerra anti vegani-vegani, e al tempo stesso si riconoscesse pubblicamente a questa scelta tutta la sua forza morale e la sua dignità.

“Finché continuerete a fare non ciò che è necessario, ma quello che è politicamente possibile, non ci sarà speranza” (Greta Thunberg)
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