“Non posso scendere in piazza, non posso andare da nessuna parte… credetemi, lo hai capito tu? Quante persone! se noi altri … non utilizzo questo metodo”. Con queste parole si giustificava al telefono il sindaco di Casteldaccia (Palermo), Giovanni Di Giacinto, in carcere con l’accusa di corruzione per aver procacciato assunzioni per i suoi sostenitori elettorali, in cambio di affidamenti diretti. Assieme a lui sono indagate altre dieci persone, quattro di loro finiti in manette nel paesino che a novembre fu colpito da un alluvione che causò la morte di nove persone (tra cui due bimbi di uno e tre anni) rimaste intrappolate in una villetta, poi risultata abusiva. Già in quei mesi però la sede del Comune era stata trasformata in un piccolo “Grande Fratello”, con microspie disseminate un po’ ovunque dal luglio 2018, in seguito alla denuncia di un imprenditore che si era rifiutato di sostenere la sua candidatura e il giorno dopo l’elezione si era visto “estromettere” dalla gestione del campo comunale (gestito dal 1990 al 2013).

“Salvatore, oh! in questo minuto, per le condizioni che ci sono in giro, vi dico: ringraziate il Signore”, diceva intercettato nel suo ufficio durante una riunione nel dicembre 2018, con il personale assunto dalla Fisma srls, una società a cui era stato affidato il servizio di raccolta differenziata. “Considerate che siete collocati, avete tutte cose, avete la quattordicesima, avete la tredicesima“, aggiungeva. La selezione dei lavoratori sarebbe dovuto avvenire attraverso “procedure di gara ad evidenza pubblica” (come previsto da un accordo stipulato nell’agosto 2013 ndr) ma le indagini della Procura di Termini Imerese, guidata dal procuratore Ambrogio Cartosio, e dei carabinieri di Bagheria hanno documentato il “mercimonio” del sindaco che affidò l’appalto a una società che aveva promesso l’assunzione di sei dipendenti. La vicenda si sviluppò nell’ottobre 2018, ma secondo il gip “già ad agosto era chiara l’intenzione del sindaco di far assumere personale da utilizzare nel ciclo dei rifiuti, sfruttando legami con soggetti privati”.

Non voglio fare ne danno a te..e neanche danno fare a me e appena noi facciamo una cosa sbagliata..ci rompono il culo, a me da un lato a te dall’altro”, diceva Di Giacomo a Giuseppe Magro, amministratore della Fisma srls. “Io non voglio fare danni a nessuno, figurati però io neanche mi posso fare mettere alla berlina dalla Regione”, aggiungeva il primo cittadino, che infine lo consigliava: “Se poi io per la piattaforma ti devo dare 2.500 euro al mese e tu ti sei dimenticato a scrivertelo, glielo metti”. L’affidamento per la raccolta differenziata però era l’affare più corposo. “Sono in serie difficoltà perché io ho fatto il passaggio dei sindacati, la richiesta al Coinres, il passaggio, cioè sono.. Pino.. obiettivamente in difficoltà”, diceva intercettato il 3 ottobre 2018 parlando al telefono con l’amministratore della Fisma.

L’assegnazione dell’appalto tardava, ma il sindaco cercava di ottenere garanzie. “Vedi che dalle altre parti hanno fatto i bandi..hanno assunto” diceva l’imprenditore, a cui ribatteva: “Vedi che a Bagheria li hanno denunciati alla procura della Repubblica“. I dipendenti assunti – tra cui un cugino del sindaco – provenivano da un bacino di esodati dell’AtoPa4/Co.In.R.E.S (Consorzio Intercomunale Rifiuti Energia Servizi). “Dei dieci ci sono due che sono sposati e quindi capisci, io se lo sto facendo, sto privilegiando quelli che sono sposati e uno che bene o male lavora e sono nove punto”, aggiungeva il primo cittadino che conduceva trattative diverse imprese interessate all’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti differenziati. A una donna perplessa per l’età del marito precisava che “non è lui entra al comune, io lo faccio entrare nella ditta privata..punto! Quindi non ti creare problematiche né 60 anni e neanche 70 anni”. Poi arrivò l’accordo. “Pino te la posso dire una cosa io? Questi di qua e te lo dico perché li conosco, questi sono quelli che lavorano più di tutti, senti a me”, diceva il sindaco che poi rincuorava i dipendenti durante una riunione intercettata dalle microspie disseminate nel suo ufficio. “Io ieri l’ho chiamato e gli ho detto di lasciarvi contenti e di non rompere i coglioni, cento euro in più, cento euro in meno non cambiano niente ne per lui, a voi probabilmente vi cambiano ma a lui non gli cambia niente, siamo rimasti che lui vi deve dare 1.350 euro al mese“.

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