Il 2019 è l’anno in cui si celebra il centenario della nascita della famosa scuola di architettura, arte e design denominata Bauhaus, fondata a Weimar nel 1919 dall’architetto tedesco Walter Gropius e chiusa dai nazisti nel 1933. Quella della Bauhaus “fu un’idea” – così la definì Mies van de Rohe – che aveva rivoluzionato l’arte e che tuttora, dopo un secolo, alimenta e orienta un ampio settore del disegno industriale delle arti e dell’architettura, nonostante la sua breve e travagliata esistenza: la scuola operò per soli 14 anni, cambiando tre direttori e tre sedi, spostandosi da Weimar, Dessau e Berlino.

Nella “cattedrale del socialismo”, come venne inizialmente definita la Bauhaus, le immatricolazioni delle donne superavano quelle degli uomini: il primo trimestre del 1919, anno della sua inaugurazione, 84 donne e 79 uomini venivano ammessi alla scuola d’arte. Nel 1918, in Germania (così come in Gran Bretagna, Irlanda, Austria e Ungheria), le donne ottennero il diritto di voto e poco dopo, nell’aprile del 1919, il direttore della Bauhaus, Walter Gropius, nel discorso di inaugurazione della scuola dichiarava: “Nessuna differenza tra il sesso bello e il sesso forte. Uguaglianza assoluta, ma anche doveri assolutamente uguali, nessuna considerazione per le donne, nel lavoro sono tutti artigiani”.

Sebbene il manifesto affermasse di promuovere tutti gli studenti prescindendo dal loro sesso (“Si ammettono tutte le persone non inabili, senza distinzione di età o sesso, la cui preparazione culturale sia considerata sufficiente dal Consiglio dei Maestri della Bauhaus”), nel libro Las Mujeres de la Bauhaus: de lo bidimensional al espacio total l’autrice Josenia Hervás y Heras raccoglie testimonianze che raccontano un’altra realtà: per le donne poter conquistare uno spazio nei laboratori e nelle sezioni di architettura fu un’impresa impervia. E fu molto più difficile per loro affermarsi come designer e architette che per i loro colleghi uomini.

Quando Gropius vide che le iscrizioni delle donne superavano quelle degli uomini, raccomandò al Consiglio dei Docenti di promuovere esclusivamente le studentesse con uno “straordinario talento”. Mentre per gli uomini – in quanto tali – un talento “ordinario” avrebbe già risposto ai requisiti minimi di qualità necessaria. Gropius non voleva che la Bauhaus diventasse un rifugio per donne: la sua preoccupazione per la numerosa presenza di queste ultime veniva interpretata come uno svilimento del livello qualitativo della sua scuola.

La Bauhaus divenne allora la scuola delle donne che possedevano un talento straordinario: ma straordinarie lo furono anche per la loro incrollabile tenacia e perseveranza, perché “la strategia dell’ostruzionismo furtivo fu efficace” scrive Ursula Muscheler in Mutter, Muse und Frau Bauhaus: Die Frauen um Walter Gropius.

Alle studentesse si impediva la frequenza ai laboratori di ceramica, falegnameria, stampa grafica, metallo; i responsabili dei seminari mal sopportavano la loro presenza. Discriminate e vittime del pregiudizio che considerava la capacità di produrre idee e di avere visione spaziale prerogativa esclusiva degli uomini, le donne furono reclutate (e confinate) per lo più nei laboratori tessili e di rilegatura, nel ruolo più rassicurante e aderente all’immaginario collettivo della donna casalinga.

Molte si esse si rassegnarono a rimanere in quei gruppi; altre cercarono di accedere a distinti corsi, poche ci riuscirono. Sorprende che, nonostante i molti impedimenti, vi furono donne che ebbero successo nella professione, grazie per lo più al sostegno dei maestri che credettero nelle loro capacità. Anne Buscher Siedhoff fu un simbolo della speranza di un cambiamento nella scuola: nel 1922 iniziò a lavorare nel laboratorio di tessuto, che non le piacque. L’anno successivo chiese di far parte del laboratorio di falegnameria, dove realizzò i famosi giochi con la forma di barche, che nel 1926 ottennero il brevetto n.441972, e i mobili modulari della stanza dei bambini nella Haus am Horn.

L’obiettivo finale della Bauhaus era l’architettura, la costruzione come sintesi dell’opera d’arte totale, dove confluivano tutte le discipline. Nel 1930 Lotte Gerson-Collein fu la prima studentessa che, dopo aver completato i sei semestri previsti dal dipartimento di architettura, chiese di poter ottenere il suo diploma.

Il Consiglio dei Maestri glielo negò con la seguente motivazione: “Nonostante le sue opere siano riconosciute e pulite, non vediamo in essa una capacità sufficientemente creativa” applicando per Lotte la discriminante del talento e non della competenza tecnica. Dopo di lei, appena fu schiusa la porta dell’indirizzo di studio di architettura, tre donne si distinsero per talento e competenze: Wera Mayer-Wadeck; Friedl Dicker; Annemarie Wilke.

A distanza di un secolo, oggi come allora, le donne architette non godono della stessa considerazione degli uomini: a esse viene ancora richiesto un talento che non è invece strettamente necessario per i loro colleghi, e “la strategia dell’ostruzionismo furtivo” è una tecnica ampiamente impiegata, sia nell’ambito professionale che accademico.

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